Discorso sullo stato dell’Unione

2018-03-02

di Nausica Palazzo - 2 marzo 2018 

Il primo discorso sullo stato dell’Unione del Presidente Trump, tenuto lo scorso 31 gennaio, come forse prevedibile, si contraddistingue rispetto a quelli tenuti dai suoi predecessori sotto numerosi aspetti. Il primo dei quali è senz’altro la retorica dell’opposizione, utilizzata a più riprese in perfetto stile Guerra Fredda per sottolineare la lontananza dei valori americani dai non-valori di Paesi quali Russia, Cina, Venezuela, Cuba, e infine dei grandi nemici iraniani e nordcoreani. A tale retorica ha fatto inevitabilmente da contraltare un appello all’unità interna, sia all’interno del Congresso che della Nazione.

La retorica dell’opposizione è stata poi applicata altresì nei confronti di Washington: «In our drive to make Washington accountable, we have eliminated more regulations in our first year than any administration in the history of our country». Non è una novità l’ostilità del Presidente nei confronti del Big Government. All’indomani dell’insediamento di Obama, Trump infatti bloccò più di 1400 regolamenti, il cui procedimento di emanazione ai sensi dell’Administrative Procedure Act (APA) non era ancora completato. L’ostilità nei confronti del big government, si riflette anche nella battaglia che ormai da tempo il Presidente ha dichiarato all’utilizzo non ortodosso di linee guida e altri strumenti interpretativi (c.d. non-orthodox rule-making). Il fenomeno, ampiamente documentato in letteratura, consisterebbe nell’introdurre attraverso tali strumenti “nuove norme”, ben al di là di una plausibile interpretazione. In tal senso Trump non fa altro che ribadire la propria ostilità verso lo strapotere delle agenzie, tentando di porre un argine alla marginalizzazione del ruolo del Presidente.

Non sono mancati poi riferimenti alle principali riforme intraprese, quali la riforma fiscale. In particolare, Trump ha celebrato la nuova normativa in termini di “the biggest tax cuts and reforms in American history”. Questa, come numerose altre affermazioni, non paiono essere del tutto accurate. La riforma non ha infatti nulla a che vedere con i drastici tagli del 1981, effettuati dall’amministrazione Reagan (tra tutte, si pensi alla riduzione dell’aliquota marginale per lo scaglione più alto dal 70 al 20 per cento). Assai controverso è poi il riferimento all’aumento netto annuo del reddito di ogni famiglia di 4000 dollari, a seguito della riduzione delle imposte sul reddito di impresa dal 35 al 20-21 per cento. La stima, calcolata dai fedeli consulenti economici del Presidente del White House Council of Economic Advisers, si basa su una previsione piuttosto ottimistica dell’aumento annuale del PIL dal 3 al 5 per cento, lungo un arco di 8 anni. Al momento, tuttavia, una crescita così sostenuta non sembra essere alle porte.

L’unica menzione all’Affordable Care Act invece riguarda l’abolizione del c.d. individual mandate, ossia l’obbligo per ciascun individuo di acquistare di un’assicurazione sanitaria, operata attraverso una disposizione del Tax Bill. Un risultato tuttavia modesto se si considera quanto l’abolizione dell’Obamacare sia stata al centro della campagna elettorale e del primo anno di Governo. Come annunciato lo scorso dicembre, il Congresso intende non riproporre il voto sull’abolizione dell’Obamacare. Inoltre, l’eliminazione di uno dei tre pilastri della riforma, l’individual mandate, se da una parte pone un serio e documentato rischio di selezione avversa degli assicurati, dall’altra non osta all’introduzione di un mandato a livello statale (quantomeno all’interno degli Stati progressisti) volto controbilanciarne gli effetti. Un risultato dunque modesto rispetto alla promessa abolizione dell’Obamacare.

Trump si è poi soffermato sull’attesa riforma in materia di immigrazione. I quattro pilastri di tale riforma sono riassumibili come segue: concessione di una cittadinanza temporanea ai figli di immigranti clandestini al ricorrere di alcune condizioni (collegate all’istruzione e al lavoro);  abolizione della «lotteria» e graduale transizione dell’attuale sistema verso un sistema basato sul merito; costruzione del famigerato muro al confine con il Messico; infine, drastica limitazione dei ricongiungimenti familiari, e in particolare limitazione della nozione di «famiglia» a quella di «famiglia nucleare». Come prevedibile, l’annuncio di tale riforma è stato contornato da riferimenti volutamente drammatici e romanzati all’immigrazione clandestina. In particolare, Trump ha ricordato come in passato numerose gang abbiano attraversato il confine e seminato morte e terrore. Nel far ciò ha espresso solidarietà ai genitori di due ragazze minorenni uccise da bande di quartiere presenti in sala. La tecnica è stata utilizzata a più riprese: nel ricordare i numerosi disastri naturali che con inusuale intensità hanno colpito il Paese nel 2017, il Presidente anziché menzionare i cambiamenti climatici ha sovente spostato l’attenzione sui soccorritori e sui comuni cittadini che hanno effettuato i soccorsi.

In materia di diritto costituzionale, Trump ha fatto espresso riferimento alla necessità di tutelare il secondo emendamento (diritto al possesso delle armi) e la libertà di religione. La menzione dei soli primo e secondo emendamento ha un alto valore simbolico, e sottintende una volontà di esaltare l’attitudine conservatrice dell’amministrazione in materia di diritti civili. Grande assente è ovviamente il 14 emendamento e qualsiasi riferimento più in generale al tema dell’uguaglianza, probabilmente per sottolineare una discontinuità rispetto all’amministrazione Obama. Emblematico poi il riferimento alle “infornate” di giudici federali conservatori e all’intenzione di nominare un giudice della Corte suprema: «Working with the Senate, we are appointing judges who will interpret the Constitution as written, including a great new Supreme Court justice, and more circuit court judges, than any new administration in the history of our country». Si può notare qui l’utilizzo retorico della fedeltà al testo in chiave conservatrice (c.d. textualism), tecnica ben nota sin dal tentativo dell’amministrazione Reagan di limitare drasticamente l’attivismo giudiziario. Si ricordino in tal senso le Guidelines on Constitutional Litigation del febbraio 1988 del Dipartimento di Giustizia, facenti riferimento all’obbligo di ricorrere a un’interpretazione testuale e, in caso di ambiguità, fedele all’intento dei founding fathers.

In materia di diritto internazionale, spiccano i riferimenti alla lotta al terrorismo e a Guantanamo Bay. Quanto a quest’ultima, il Presidente ha confermato l’intenzione di mantenere aperto il carcere di massima sicurezza presente sull’isola. Quanto alla lotta al terrorismo, il Presidente ha celebrato la quasi totale sconfitta dell’Isis in Siria ed Iraq, e ha poi richiamato lo status di «enemy combatants» dei terroristi, che, in quanto attori non statali, godrebbero dunque di una assai limitata protezione sotto l’egida del diritto umanitario, e potrebbero quindi essere «annichiliti» («terrorists who do things like place bombs in civilian hospitals are evil. When possible, we annihilate them. When necessary, we must be able to detain and question them. But we must be clear: Terrorists are not merely criminals. They are unlawful enemy combatants. And when captured overseas, they should be treated like the terrorists they are»).

Nel complesso si registra un sempre più marcato (auto)isolamento del Presidente. In controtendenza rispetto ai predecessori, sono infatti mancate menzioni al suo Vice Pence, nonché ai vertici dei Dipartimenti, ad eccezione del Segretario della Difesa Mattis, citato con riferimento a Guantanamo Bay. Un simile atteggiamento è coerente con l’insofferenza mostrata a più riprese nei confronti dei vertici del suo Cabinet. Se a ciò si aggiunge l’ostilità nei confronti delle agenzie, e il rapporto non roseo con il Congresso, si comprende con maggior chiarezza il grado di isolamento del Presidente (onde probabilmente l’inatteso gesto distensivo nei confronti dei Democratici e i numerosi appelli all’unità).