Stop alle esenzioni morali e religiose al “contraceptive mandate” introdotte dall’amministrazione Trump

2018-01-23

di Nausica Palazzo - 23 gennaio 2018

Due corti federali distrettuali in Pennsylvania e California hanno quasi simultaneamente sospeso l’efficacia delle Interim Final Rules (IFRs) dell’amministrazione Trump tese a limitare l’applicazione dell’obbligo di coprire il costo dei contraccettivi previsto nel contesto della riforma sanitaria di Obama: Commonwealth of Pennsylvania v. Trump (ED PA., Dec. 15, 2017) e State of California v. Health and Human Services (ND CA, Dec. 21, 2017). I due regolamenti dell’ottobre 2017 introducevano infatti un’ampia nozione di esenzione per motivi religiosi e per motivi morali in sostanza a favore di tutti i datori di lavoro (escluse le società quotate nel caso di esenzione per ragioni morali) impegnati a fornire una copertura sanitaria.

Le ordinanze cautelari lambiscono numerosi temi di attualità nel diritto costituzionale e amministrativo americano, quali: lo standing costituzionale, l’assai controverso uso di provvedimenti cautelari con efficacia su tutto il territorio nazionale (“nation-wide preliminary injunction”), l’impiego sempre più incisivo di motivi procedurali per bloccare regolamenti governativi, e infine il delicato equilibrio tra il libero esercizio della religione e la tutela della salute delle donne.

Quanto alla legittimazione attiva, è ormai chiaro a partire da Massachusetts v. EPA che gli Stati siano attori qualificati, situati in una posizione privilegiata quanto a dimostrazione dei tre criteri di concretezza, causazione, e probabilità che una sentenza favorevole porti a una rivisitazione della decisione governativa (“redressability”). Tuttavia, a differenza di Massachusetts v. EPA, dove la Corte Suprema compie quantomeno uno sforzo di articolare la concretezza del danno, individuandolo nell’erosione delle coste del Massachusetts, qui la Corte della Pennsylvania finisce con l’estendere il primo requisito al benessere delle donne dello Stato di Pennsylvania, al punto da renderlo del tutto nominale. La Corte californiana, per conto suo, riconosce invece uno standing c.d. procedurale nel senso di ricollegare la concretezza del danno sofferto alla violazione del procedimento amministrativo: in altre, parole, il danno è concreto e attuale in quanto il mancato avvio del Notice and Comment (d’ora in poi “N&C”) da parte dell’amministrazione avrebbe impedito allo Stato di partecipare attivamente, anche attraverso l’invio di commenti e proposte di modifica al testo del regolamento. Lo standing procedurale non è cosa nuova, ma il riferimento a Texas v. US, testimonia la volontà della Corte di riconoscere la legittimazione attiva con “special solicitude” e con un generale rilassamento dei requisiti, ove la parte attorea sia uno Stato del Commonwealth.

Quanto al secondo punto, l’emanazione di un provvedimento di urgenza con efficacia sul territorio nazionale costituisce un fenomeno piuttosto recente (v. Texas v. U.S. in tema di DACA e Texas et. al v. U.S. in tema di transgender restrooms negli istituti scolastici, rispettivamente del 2015 e del 2016). Da provvedimento eccezionale, l’emanazione di tali ingiunzioni si pone ormai come valida strategia giudiziale per tutti gli oppositori di una determinata politica governativa. La possibilità che sia un singolo giudice di livello distrettuale ad emanarla ha tuttavia creato non poche frizioni con l’amministrazione federale, in quanto costituirebbe un eccessivo sacrificio del principio di separazione dei poteri; si presterebbe oltretutto a fenomeni di selezione strategica del distretto (forum shopping), nella misura in cui consentirebbe alle organizzazioni portatrici di interesse contrario di “scegliere” il distretto o i distretti più favorevoli, a seconda dell’orientamento politico del giudice.

L’estensione della legittimazione attiva e l’impiego di simili ingiunzioni vanno letti congiuntamente, in quanto forniscono una chiave di lettura dell’evoluzione della separazione dei poteri verticale e orizzontale negli Stati Uniti. Si registra infatti un’evoluzione nel senso della progressiva marginalizzazione della figura presidenziale a beneficio degli Stati, da una parte, e del potere giudiziario, dall’altra.

La notevole estensione della dottrina in tema di standing, rende gli Stati del Commonwealth, non già i tradizionali gruppi portori di interesse (es. ACLU), la parte giudiziaria naturale e ideale per contrastare una politica federale. Questo aspetto produce conseguenze sul piano della formulazione dei motivi del ricorso, che andranno a includere all’interno delle classiche doglianze di diritto amministrativo istanze di separazione verticale e federalismo. Quanto al potere giudiziario, l’emanazione di ingiunzioni con efficacia su tutto il territorio nazionale, fenomeno giova ripeterlo piuttosto recente, non solo si aggiunge all’arsenale di strumenti di cui i giudici dispongono per invalidare un’azione governativa, ma si pone come strumento privilegiato negli anni a venire per bloccare regolamenti e circolari interpretative non gradite (un giudice ostile a tali regolamenti o al Presidente prima o poi lo si trova).

Il tema del judicial review ora accennato introduce un ulteriore aspetto di interesse delle ordinanze. L’impiego di doglianze procedurali (ancor prima che di merito) fondate sul codice di procedura amministrativa (Administrative Procedure Act - APA) per invalidare tali normative. E con ciò non intendo riferirmi soltanto all’uso assai elastico da parte delle corti dell’“arbitrary and capricious test”, ex §706(2)(A) APA, per veicolare attraverso doglianze formalmente procedurali le scelte di merito dell’amministrazione (“policy challenges”). Intendo riferirmi altresì, e nella specie, alla tendenza delle corti ad annullare le normative che bypassano il requisito del N&C (una procedura partecipata assai complessa e dettagliata per l’emanazione di regolamenti).

Le eccezioni previste all’obbligo di agire mediante N&C riguardano le circolari interpretative e altri atti governativi nei confronti dei quali detta procedura sia “impraticabile, non necessaria o contraria all’interesse pubblico”. In Commonwealth of Pennsylvania v. Trump, l’amministrazione ha invocato tale ultima esenzione, in maniera tuttavia non poco originale. Basta sfogliare il testo dell’ordinanza per rendersi conto dell’implausibilità delle argomentazioni governative (e probabilmente revocare in dubbio la qualità dei legali di Trump). In primo luogo, l’amministrazione sostiene che il testo dell’ACA autorizzi espressamente l’elusione del N&C, nella parte in cui autorizza i competenti Segretari ad emanare i regolamenti che si reputano necessari per l’implementazione della legge. Si noti tuttavia che, non solo la clausola di riferimento non sembra fare alcun riferimento alla possibilità di aggirare il N&C, ma la giurisprudenza tende a interpretare clausole di questo tipo in maniera del tutto opposta e chiaramente restrittiva (v. ad esempio Mead e in generale la giurisprudenza in tema di Chevron step zero).

In secondo luogo l’amministrazione definisce il N&C non necessario perché: 1. l’agenzia aveva già ricevuto numerosi commenti in sede di implementazione dell’ACA; 2. l’introduzione di una procedura partecipativa ex post, che prevede la ricezione di commenti dopo l’emanazione dei regolamenti, rende superfluo il N&C (operante ex ante). Conviene ribadire che uno studioso di diritto costituzionale e amministrativo non può che leggere tali argomentazioni con stupore. L’amministrazione sembra applicare maldestramente e in questo caso del tutto ignorare orientamenti giurisprudenziali consolidati. Basti ricordare a tal proposito che il requisito del N&C è stato a partire dalla sentenza State Farm esteso altresì alla decisione di revocare un qualsiasi regolamento, per fornire un metro di quanto seriamente tale requisito sia preso in considerazione, e quanto poco plausibili siano le argomentazioni di parte. In generale si tratta di un’eccezione che va interpretata come tale restrittivamente. La seconda delle due eccezioni (good-cause exception) è ancora più delicata, nel senso che è possibile adottarla, secondo la giurisprudenza, solo in casi di emergenza, e sarà il giudice a vagliare caso per caso i motivi di assoluta urgenza addotti dall’amministrazione (v. anche pp. 17-19 dell’ordinanza in California, che rigetta sulla scorta delle stesse motivazioni le allegazioni difensive).

Quanto all’ultimo punto, in tema di libertà di religione, si diceva che i due regolamenti dell’ottobre 2017 introducevano l’esenzione per motivi religiosi a favore di tutte le persone giuridiche, a scopo di lucro e non, incluse le società quotate, e l’esenzione per motivi morali in favore delle le persone giuridiche, a scopo di lucro e non, escluse questa volta le società quotate. La normativa si pone in realtà coerentemente nel solco di una pronuncia della corte Suprema, Hobby Lobby, con la quale si era riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza ad una catena di negozi (!), rispetto all’obbligo di copertura della pillola anticoncezionale e altri metodi contraccettivi ritenuti in contrasto con la libertà di religione dei proprietari. La pronuncia aveva fatto discutere non poco, soprattutto in merito all’estensione della libertà di religione alle già onnipotenti corporations sulla base di argomentazioni facenti perno sulla non incompatibilità tra obiettivi caritatevoli e veste giuridica di società a scopo di lucro. Gli aspetti più sorprendenti delle IFRs consistevano nell’estensione dell’esenzione per motivi religiosi alle società quotate, e nell’introduzione ex novo di un’obiezione per non meglio accertati motivi morali, con l’unico limite della “sincerità” di detti motivi. Quanto al primo punto, è lecito domandarsi come accertare il credo religioso di Apple o IBM o Amazon. Quanto al secondo aspetto il limite del “sincerely held belief” impedisce implicitamente un qualsiasi scrutinio di merito, nel senso che un rifiuto basato sul mero disprezzo del sesso femminile, ove sincero, sarebbe meritevole di tutela.

Le decisioni si pongono quindi come argine, per quanto temporaneo, all’effetto idraulico di Hobby Lobby. Come prevedibile, l’interpretazione estensiva del “substantial burden” previsto dal Religious Freedom Restoration Act aveva presto condotto all’individuazione di un privilegio/esenzione per motivi religiosi dai confini potenzialmente assai ampi. Il mutato contesto giuridico aveva indotto, ad esempio, una corte federale dell’Utah a confermare la legittimità della condotta di un parroco rifiutatosi di rispondere a un interrogatorio federale nell’ambito delle indagini per sfruttamento minorile perpetrato dalla Chiesa di appartenenza, la Chiesa Fondamentalista di Gesù Cristo (Perez v. Paragon Contractor). Il motivo è presto immaginato: l’interrogatorio si poneva in contrasto con il “voto solenne” di non discutere le faccende interne della Chiesa.

Le decisioni qui commentate sono quindi rilevanti, non tanto e non solo in quanto preservano un importante aspetto della riforma sanitaria di Obama, ma soprattutto in quanto ricche di segnali di cambiamento in punto di equilibrio dei poteri costituzionali.