Anticipazione DPCE Online 2-2020 - Democrazia e mercato ai tempi del coronavirus. La Corte di Karlsruhe e la difesa a senso unico dell’ortodossia neoliberale

2020-05-14

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di Alessandro Somma

Politica economica e politica monetaria europea

Le misure di politica monetaria hanno sempre effetti di politica economica: la prima è una irrinunciabile componente della seconda. Proprio per questo l’Unione europea, competente in via esclusiva a dettare la politica monetaria, può imporre agli Stati membri scelte concernenti la politica economica, che pure è formalmente di loro esclusiva competenza[1]. Può cioè determinare effetti in linea con l’approccio neoliberale alla spesa pubblica nel momento in cui stabilisce il costo e la disponibilità del denaro in funzione della volontà di promuovere la stabilità dei prezzi, e dunque di tenere bassa l’inflazione. Impedendo così di perseguire finalità contrastanti con una simile finalità, come in particolare la piena occupazione, anche quando questa figura tra gli obiettivi di politica economica contemplati dalle costituzioni nazionali: come affermato ad esempio nell’articolato italiano (art. 4).

Se così stanno le cose, la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Quantitative easing, quello varato dalla Banca centrale europea sotto la Presidenza Draghi[2], non dice certo nulla di nuovo. Afferma che una simile misura, formalmente adottata per favorire il raggiungimento di un tasso di inflazione inferiore ma prossimo al 2% in quanto strumento per ottenere la stabilità dei prezzi[3], produce effetti di politica economica. E non potrebbe essere altrimenti: l’acquisto di titoli sul mercato secondario inevitabilmente «migliora le condizioni di rifinanziamento degli Stati membri perché questi possono ottenere credito nel mercato finanziario a condizioni decisamente migliori», e questo «indubbiamente sgrava» il loro bilancio e aumenta gli spazi di manovra fiscale[4].

Nuova è semmai la durezza con cui si intendono definire i limiti di un uso della politica monetaria come strumento di politica economica. La prima non è mai neutrale, potendo determinare sulla seconda effetti di varia natura, come è del resto spesso avvenuto a tutto vantaggio della Germania[5]. Questi effetti si vorrebbero però ammettere unicamente nella misura in cui sono rispettosi del principio per cui «il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati»: solo a queste condizioni i risvolti economici della politica monetaria si reputano rispettosi del «principio di proporzionalità» (art. 5 Tue). Il che equivale a dire, dal punto di vista dei Giudici di Karlsruhe, solo nella misura in cui non intaccano il fondamento neoliberale della costruzione europea, edificandola in forma di «mercato aperto e in libera concorrenza» (artt. 119 e 127 Tfue).

Al principio dell’avventura europea, la possibilità di utilizzare le politiche monetarie come espediente attraverso cui ottenere effetti di politica economica, e in particolare quelli cui abbiamo fatto riferimento, è stata inizialmente considerata con notevole sospetto. Nel corso dei Trenta gloriosi si preannunciava infatti l’intenzione di giungere a una politica monetaria comune, e tuttavia la si concepiva come ultima tappa di un percorso che doveva prima passare dalla definizione di politiche economiche comuni. Un percorso che impedisse cioè di alimentare una costruzione frutto di forzature consentite da un opaco e al limite subdolo coordinamento fra strumenti difficilmente distinguibili.

Lo ricaviamo ad esempio dal Piano Barre, predisposto sul finire degli anni Sessanta in seno alla Commissione europea per individuare i principali obiettivi di una politica economica coordinata: «l’incremento della produzione e dell’occupazione, l’evoluzione dei prezzi, il saldo dei pagamenti correnti e il saldo della bilancia globale dei pagamenti», oltre all’istituzione di un «meccanismo di cooperazione monetaria». Il complessivo orientamento di fondo delle misure da adottare restava ambiguo, ma nel loro ambito non emergeva certo una precedenza delle politiche monetarie sulle politiche economiche. Il raggiungimento degli obiettivi indicati, poi, doveva avvenire nel rispetto delle «possibilità proprie» di ciascun Paese, a cui si chiedeva inoltre di tenere un comportamento collaborativo: chi era in difficoltà doveva «trovare al momento opportuno e senza indugio, presso i suoi partner della Comunità, i finanziamenti che lo aiuterebbero a far fronte alle proprie difficoltà»[6].

Il Piano Barre venne adottato dal Consiglio come base per la discussione che si tenne durante un vertice dei Capi di Stato e di governo. Con l’occasione si formulò anche l’intento di trasformare la Comunità «in un’unione economica», con la precisazione che le misure in ambito monetario avrebbero avuto come punto di riferimento «l’armonizzazione delle politiche economiche». Queste ultime dovevano cioè precedere le prime, o quantomeno accompagnarle, giacché «base dell’azione intesa a sviluppare la cooperazione nel settore monetario dovrebbe essere l’armonizzazione delle politiche economiche»[7].

Nello stesso senso il Piano Werner, predisposto per individuare un percorso «a tappe in vista della creazione dell’Unione economica e monetaria» comprendente, come punto di arrivo, l’adozione della moneta unica[8]. Con l’occasione non si poté dirime la controversia tra chi, come i tedeschi, caldeggiava soluzioni di politica economica di matrice neoliberale, e chi invece, primi fra tutti i francesi, puntavano a conservare maggiori spazi per un approccio keynesiano o comunque rigettavano soluzioni ispirate dall’ossessione per il controllo dell’inflazione. E tuttavia si chiarì che un futuro «sistema comunitario delle banche centrali» avrebbe condiviso gli obiettivi perseguiti dagli organi incaricati di definire la politica economica: quel sistema non avrebbe potuto sviluppare politiche monetarie svincolante da un coordinamento con le politiche economiche generali. Si precisò inoltre che il trasferimento di sovranità dal piano nazionale a quello europeo doveva maturare di pari passo con lo sviluppo di forme di democrazia sovranazionale: con il «trasferimento di una corrispondente responsabilità parlamentare dal piano nazionale a quello della Comunità»[9].

Notoriamente si deve al percorso verso la monetata unica, iniziato con l’Atto unico europeo, un radicale cambio di paradigma quanto all’opportunità di elaborare una politica economica comune quale presupposto per l’individuazione di una politica monetaria condivisa. Il percorso ha elevato quest’ultima a competenza esclusiva dell’Unione (art. 3 Tfue), da esercitare avendo «l’obiettivo principale della stabilità dei prezzi», e solo in subordine per «sostenere le politiche generali nell’Unione» (art. 119 Tfue). Il tutto lasciando formalmente agli Stati la competenza in materia di politica economica, la quale deve però essere oggetto di «stretto coordinamento» (artt. 2 e 119 Tfue). E questo viene sostenuto da un sistema di sorveglianza multilaterale (art. 121 Tfue), condotta alla luce di indicazioni in linea con quelle cui si ispira la politica monetaria: si deve perseguire la stabilità dei prezzi e dunque il controllo su debito e deficit, da contenere rispettivamente entro il limite del 60% e del 3% del prodotto interno lordo (art. 126 Tfue)[10].

Il Patto di stabilità e crescita, sorto nella seconda metà degli anni Novanta e più volte emendato nel corso del tempo, ha reso il coordinamento delle politiche economiche sempre più stringente e sempre meno compatibile con un sistema formalmente incentrato sulla competenza nazionale in materia[11]. Nel merito i riscontri sono noti e numerosi, tanto che è sufficiente menzionare a titolo esemplificativo il Semestre europeo: il ciclo di coordinamento incidente sulla definizione delle leggi di stabilità in forme che rendono arduo considerarle alla stregua di atti liberamente assunti dai parlamenti nazionali[12].

Di qui una prima annotazione: la richiesta di ripristinare i confini della politica monetaria giunge da un Paese che ha alimentato un abuso di questa come strumento di politica economica, ammesso tuttavia se produce risultati in linea con l’ortodossia neoliberale, e recisamente avversato in caso contrario.

Diritti sociali, diritti politici o mercato?

In occasione della crisi del debito sovrano, le Corti costituzionali dei Paesi sudeuropei hanno tentato di arginare le misure austeritarie decise dal livello europeo per affrontarla. Queste discendevano da un approccio neoliberale alla disciplina dell’ordine economico, in qualche modo presentato come corollario del dovere di ripagare il debito accumulato, per molti aspetti confliggente con un altro dovere cui riconoscere quantomeno pari rango: quello concernente il rispetto e la promozione dei diritti sociali, messo a rischio dall’imposizione di politiche di bilancio restrittive[13].

Nel merito si è distinto il Tribunale costituzionale portoghese, che ha rilevato la frizione tra le disposizioni emanate nel quadro delle politiche di austerità e il riconoscimento costituzionale dei diritti economici e sociali: una frizione non giustificata neppure in presenza di condizioni eccezionali, come quelle determinate dalla crisi del debito sovrano. Emblematica la decisione che ha dichiarato l’incostituzionalità delle leggi di stabilità per il 2012 e per il 2013, in particolare laddove disponevano tagli ai salari dei dipendenti pubblici, oltre che decurtazioni delle pensioni. La disposizione di riferimento per la declaratoria di incostituzionalità è stata quella che nella Carta fondamentale codifica il principio di parità sostanziale (art. 13), in combinazione con i riferimenti alla garanzia di effettività dei diritti e alla democrazia economica (art. 2). Il tutto alla luce del catalogo di diritti sociali contenuto nella Carta, alcuni dei quali esplicitamente richiamati (artt. 56, 59 e 63)[14].

Lo «Stato sociale condizionato»[15] è stato messo in discussione anche dalla Corte costituzionale italiana nella celebre decisione che ha dichiarato l’incostituzionalità del blocco, per il 2012 e il 2013, della rivalutazione automatica delle pensioni di importo superiore al triplo del trattamento minimo. Per la Consulta, infatti, il blocco contrasta con il diritto dei lavoratori a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di vecchiaia (art. 38 Cost.) e, posto che la pensione costituisce una retribuzione differita, con il diritto a una retribuzione sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Il tutto valutato alla luce di un complessivo «progetto di eguaglianza sostanziale» (art. 3 Cost.), per cui occorre «evitare disparità di trattamento in danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici»[16].

Da menzionare anche la pronuncia che ha interessato una legge della Regione Abruzzo, nella parte in cui stabilisce che è tenuta a contribuire alle spese sostenute dalla Provincia per il trasporto degli studenti disabili, tuttavia solo «nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio». Per la Corte costituzionale questa misura viola la Costituzione nella parte in cui stabilisce che «gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale» (art. 38). Questo diritto non può in alcun modo essere intaccato dal principio dell’equilibrio di bilancio: «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»[17].

Detto questo, la Corte costituzionale italiana è però particolarmente timida nel porre limiti al principio del primato del diritto europeo sul diritto nazionale, così come affermato dalla Corte di giustizia e documentato in una dichiarazione allegata al Trattato di Lisbona[18]. I cosiddetti controlimiti si possono in effetti attivare solamente se chiamati in causa da precetti «identificativi ed irrinunciabili», ovvero «sottratti anche alla revisione costituzionale»[19]: ad esempio quello relativo alla forma repubblicana, intangibile per espressa previsione (art. 139). Con il risultato che i controlimiti sono degradati a «riserve di sovranità» solo «potenziali», buone comunque per legittimare la costruzione sovranazionale di fronte al livello nazionale, e dunque per fungere da «oppiacei»[20].

Di tutt’altro peso la giurisprudenza del Giudice delle leggi tedesco, abituato ad esercitare una vera e propria signoria sulla costruzione europea, e in tale prospettiva a riservarsi spazi di manovra inconcepibili in altri Paesi. Nel merito può del resto invocare disposizioni costituzionali decisamente incisive, in ogni caso più di quanto si possa ricavare da quella tradizionalmente indicata come base giuridica per motivare la partecipazione italiana alla costruzione europea (art. 11)[21].

La Carta fondamentale tedesca è stata infatti modificata in occasione della ratifica del Trattato di Maastricht, per affermare il principio secondo cui le cessioni di sovranità sono ammissibili solo se il livello sovranazionale realizza le finalità prima perseguite dal livello nazionale. Una disposizione precisa ora che «la Repubblica federale tedesca collabora allo sviluppo dell’Unione europea» nella misura in cui quest’ultima «si vincola ai principi democratici, dello Stato di diritto, sociale e federativi e al principio di sussidiarietà e assicura una tutela dei diritti fondamentali sostanzialmente comparabile a questa Legge fondamentale». Precisa poi che l’esecutivo deve assicurare al parlamento «la possibilità di prendere posizione prima di partecipare alla produzione normativa europea» (art. 23).

Agitando la difesa delle prerogative democratiche la Corte costituzionale tedesca ha potuto così far prevalere le ragioni della chiusura, e comunque della diffidenza rispetto a una costruzione, come quella europea, nei cui confronti ha assunto il ruolo di «interlocutore riluttante»[22]. Ha rilevato come le cessioni di sovranità siano ammissibili solo se il livello nazionale resta «il Signore dei Trattati», ovvero se non intacca la capacità del popolo tedesco «di progettare dal punto di vista politico e sociale e in modo responsabile e autonomo le proprie condizioni di vita». E ciò equivale a dire che il parlamento tedesco «in quanto rappresentante del popolo», così come l’esecutivo da esso supportato, devono mantenere «un influsso costitutivo sullo sviluppo politico della Germania»: direttamente, o in alternativa esercitando «una influenza significativa sul procedimento decisionale tedesco». Anche e soprattutto per assolvere al «dovere dello Stato di garantire un giusto ordine sociale», ovvero per «creare le condizioni minime per un’esistenza dignitosa dei suoi cittadini»[23].

In questo modo la sovranità popolare viene tutelata in modo sostanziale, e la sovranità statale riconfermata nel suo ruolo di sfondo ineliminabile per produrre un simile risultato, anche e soprattutto dal punto di vista delle scelte sulla spesa pubblica: è nuovamente la Corte di Karlsruhe a precisare che l’appartenenza alla costruzione europea non deve in alcun modo menomare il potere del parlamento tedesco di esercitare un «controllo sulle scelte fondamentali in materia di politica fiscale e di bilancio»[24]. Il tutto mentre un’altra disposizione della Legge fondamentale, introdotta anch’essa in occasione della ratifica del trattato di Maastricht, ammette la cessione di sovranità monetaria solo nella misura in cui la Banca centrale europea persegue le medesime finalità perseguite dalla Banca centrale tedesca fin dalla rivoluzione monetarista di metà anni Settanta: se «è indipendente ed è vincolata allo scopo primario della sicurezza della stabilità dei prezzi» (art. 88).

La Corte di Karlsruhe riconosce che la cessione di sovranità monetaria equivale a una limitazione della «legittimazione democratica» e dunque a una compressione del «principio democratico», ma anche che questa avviene nel solco di una impostazione «sperimentata nell’ordinamento tedesco e dimostrata sul piano scientifico»[25]. Di qui la saldatura tra principio democratico e ortodossia neoliberale, che merge con forza dalla decisione sul Quantitative easing promosso dalla Banca centrale europea del Presidente Draghi.

Il riferimento alla democrazia emerge a questo punto come mera clausola di stile chiamata ad alzare una cortina fumogena attorno al fine ultimo dell’intervento del Giudice delle leggi: presidiare la separazione tra politica ed economia, e con ciò l’attribuzione ai mercati del compito di disciplinare il comportamento dei corpi politici. Il tutto alimentato dal divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici (art. 123 Tfue), che impone agli Stati di comportarsi in modo tale da non rendere eccessivamente oneroso il reperimento di risorse sui mercati finanziari: di perseguire politiche di bilancio restrittive come condizione per essere considerati debitori solvibili, e dunque per ottenere tassi di interesse vantaggiosi. Il che viene sottolineato dalla Corte tedesca, che considera il divieto di finanziamento monetario un espediente per «vincolare gli Stati membri a una politica di bilancio sana», finalità per la quale essi non devono poter contare sulla possibilità che «i titoli del debito da loro emessi siano poi acquistati sul mercato secondario del sistema europeo»[26].

Di qui una seconda annotazione: la difesa delle prerogative democratiche da parte del Giudice tedesco è solo apparente, perché utilizzata per presidiare la funzione di disciplina del comportamento degli Stati attribuita ai mercati dall’ortodossia neoliberale.

Non ci resta che il Mes

La decisione tedesca giunge in un momento drammatico per i Paesi europei, alle prese con l’emergenza sanitaria e la relativa crisi economica. Un’emergenza considerata alla stregua di una «tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche», e una crisi capace di generare un «costo economico elevatissimo», tanto da esporre al rischio di una «depressione duratura». Il tutto da affrontare inevitabilmente con un «aumento significativo del debito pubblico», tanto che «livelli molto più elevati di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie»[27].

A queste condizioni i Paesi sudeuropei, già segnati da debiti pubblici elevati, spingono affinché l’Europa intervenga con forme di assistenza finanziaria non destinate a produrre una ulteriore esposizione sovrana. Le loro richieste si infrangono però contro la riaffermazione dell’ortodossia neoliberale da parte dei Paesi nordici, che hanno finora imposto il loro punto di vista: le misure in discussione consistono in una erogazione di prestiti, con benefici per i Paesi sudeuropei limitati alla possibilità di corrispondere tassi inferiori rispetto a quelli solitamente richiesti dai mercati agli Stati considerati poco affidabili. Nessuno spazio invece per forme di mutualizzazione del debito, come in particolare quelle realizzate ricorrendo agli Eurobond, e solo qualche timida apertura al futuro utilizzo del bilancio europeo, senza però indicazioni concrete circa il modo di incrementarlo a fronte della sua tradizionale esiguità[28].

In tutto questo la Banca centrale europea ha varato un nuovo programma di acquisto di titoli del debito sul mercato secondario pensato appositamente per l’emergenza pandemica, con differenze di rilievo rispetto alle misure a suo tempo adottate sotto la Presidenza Draghi[29]. Non vale innanzi tutto il tetto del 33% su ciascuna emissione cui aveva fatto riferimento la Banca solo alcune settimane prima[30]. Si deroga poi alla regola per cui la Banca può acquistare unicamente titoli di Paesi capaci di stare sui mercati obbligazionari, ovvero i cui titoli non sono qualificati come «spazzatura»[31].

Ci sono infine novità anche per la regola del capital key, secondo cui gli acquisti di titoli emessi da un Paese non possono superare il limite dato dalla percentuale di quote di capitale della Banca possedute. Nel merito si invoca infatti un «approccio flessibile», ritenuto «essenziale per impedire che le attuali dislocazioni della curva dei rendimenti dei titoli sovrani aggregata dell’area dell’Euro si traducano in ulteriori distorsioni nella curva dei rendimenti privi di rischio dell’area dell’Euro»: per consentire alla Banca di acquistare soprattutto dai Paesi i cui titoli sarebbero altrimenti assorbiti dal mercato al prezzo di elevati tassi di interesse. Certo, le espressioni utilizzate dalla Banca centrale europea sono ambigue: lasciano spazio alla possibilità che si ammettano solo «fluttuazioni nella distribuzione dei flussi di acquisto nel corso del tempo», e che alla conclusione del programma si richieda comunque il rispetto delle proporzioni appena indicate. E tuttavia la flessibilità dell’approccio si traduce in vantaggi non certo trascurabili per i Paesi sudeuropei.

Insomma, dal punto di vista di questi ultimi la sola risposta all’altezza della situazione è quella che consente la mutualizzazione del debito. In sua assenza, in una situazione nella quale l’indebitamento sovrano rappresenta l’unica strada percorribile per fronteggiare la crisi, l’acquisto di titoli sul mercato secondario alle condizioni indicate consente se non altro di tenere sotto controllo i tassi di interesse. E se a tutto questo si aggiungesse il roll over, ovvero il rinnovo nel tempo dei titoli acquistati, allora ci troveremmo in una situazione che potrebbe anche coincidere con la monetizzazione del debito[32].

Se così stanno le cose, non si può dar torto alla Corte costituzionale tedesca nel momento in cui stigmatizza gli effetti di politica economica derivanti da una misura di politica monetaria che, come dice la Banca centrale europea, persegue formalmente «l’obiettivo della stabilità dei prezzi e il corretto funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria»[33]. Come abbiamo detto, l’Europa non si mostra però intenzionata ad assumere scelte di politica economica capaci di rendere superfluo il Quantitative easing dell’era Lagarde. Il tutto mentre si evita accuratamente di aprire la strada a forme di finanziamento a fondo perduto, come si ricava in modo esemplare dalla discussione sul Fondo per la ripresa (Recovery fund) e dalla proposta di un Fondo per il sostegno al rischio di disoccupazione (Sure)[34].

Proprio l’unica misura al momento capace di alleviare in parte le drammatiche conseguenze della crisi costituisce peraltro il vero obiettivo della decisione dei Giudici di Karlsruhe. Questi non mirano a colpire l’acquisto di titoli disposto da Draghi, se non altro perché è presumibile che la Banca centrale europea fornirà presto una convincente dimostrazione circa la sua proporzionalità: in caso contrario la dismissione dei titoli finora acquistato dalla Banca centrale tedesca, chiamata a sfilarsi dall’operazione, si tradurrebbe in un danno economico per la Germania.

Che l’obiettivo della Corte costituzionale tedesca sia il Quantitative easing varato da Lagarde, lo ricaviamo da quanto dice a proposito della compatibilità tra l’acquisto dei titoli sul mercato secondario e il divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici (art. 123 Tfue). Discutendo di questo aspetto, i Giudici di Karlsruhe individuano alcune caratteristiche che consentono di escludere una «manifesta violazione del divieto», menzionando in particolare il tetto del 33% su ciascuna emissione, il rispetto della regola del capital key, la mancata previsione di un roll over e la capacità dell’emittente di accedere ai mercati obbligazionari. Con la precisazione che in particolare le prime due caratteristiche «hanno finora impedito» che il Quantitative easing potesse essere utilizzato per adottare «misure selettive a favore di singoli Stati membri» e che «l’Eurosistema si trasformasse nel principale creditore di uno Stato membro»[35].

Peraltro la Corte tedesca non si limita a preannunciare che in nessun caso potrà ritenere l’attuale acquisto di titoli della Banca centrale europea compatibile con il divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici, e a maggior ragione produttivo di effetti di politica economica proporzionati a quelli di politica monetaria. I Giudici di Karlsruhe affermano altresì che il Quantitative easing ritenuto difettoso in quanto contrastante con il divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici, realizza di fatto quanto spetta al Meccanismo europeo di stabilità ai sensi del suo Trattato istitutivo (art. 12). Realizza cioè «un sostegno alla stabilità», inammissibile in quanto viola la regola per cui esso può avvenire  unicamente «sulla base di condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto»[36].

Insomma, i Giudici di Karlsruhe irrompono a gamba tesa nel dibattito circa il modo di affrontare la crisi che si sta conducendo in senso all’Unione europea, particolarmente vivace proprio se riferito all’opportunità o meno di ricorrere al Meccanismo europeo di stabilità. Come è noto questa soluzione viene caldeggiata dall’Eurogruppo, che si è impegnato a consentire il ricorso al Meccanismo attenuando la disciplina prevista per disciplinarlo come strumento con cui affrontare crisi asimmetriche. I Ministri delle finanze dell’Eurozona reputano infatti possibile attivarlo con condizionalità minime: il solo «impegno a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento nazionale dei costi diretti e indiretti per la sanità, le cure e la prevenzione»[37]. Il tutto nell’ambito di una «assistenza finanziaria precauzionale» e in particolare di una «linea di credito soggetta a condizioni rafforzate», riservata ai Paesi le cui finanze non rispettano i  parametri indicati nel dal Patto di stabilità e crescita e tuttavia si trovano in una «situazione economica generale» comunque «sana»[38].

Si sa che la possibilità di attivare il Meccanismo sulla base di condizionalità leggere contrasta nettamente con quanto prescrivono i Trattati, dove si dice che «qualsiasi forma di assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del Meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità» (art. 136 Tfue). Si sa poi che il Paese richiedente l’assistenza del Meccanismo è tenuto a numerosi adempimenti particolarmente penetranti, come quelli discendenti dalla valutazione circa la sua solidità finanziaria, da una sorveglianza rafforzata e dal programma di aggiustamento macroeconomico[39]. E non basta certo una dichiarazione dal mero valore politico, come quella da ultimo formulata in seno alla Commissione[40], a disinnescare il quadro normativo concernente l’assistenza finanziaria condizionata.

Da questo punto di vista la pronuncia della Corte costituzionale tedesca impone di osservare con realismo le opzioni in campo. Impone cioè di prendere sul serio la sostanziale indisponibilità dei Paesi nordici ad allentare il quadro normativo posto a presidio dell’ortodossia neoliberale. E anzi di riconoscere che, come in occasione della crisi dei debiti sovrani, i momenti di particolare difficoltà sono valorizzati in quanto occasioni per inasprire quel quadro normativo. Con il risultato che l’unica alternativa all’indebitamento a tassi insostenibili non sono gli interventi di politica monetaria in qualche modo utilizzati per ottenere effetti di politica economica, né tanto meno il ricorso a forme di mutualizzazione o monetizzazione del debito: l’unica alternativa è il ricorso all’assistenza finanziaria condizionata.

Di qui una terza ed ultima considerazione: la decisione tedesca evidenzia i termini di uno scontro tra più modi di interpretare la politica economica oramai incapaci di convivere ricorrendo a espedienti monetari, e dunque impone di compiere scelte la cui portata deve essere all’altezza della situazione.

 

 

[1] A rigore la politica economica comprende la politica fiscale e di bilancio e la politica monetaria. I Trattati parlano tuttavia della prima per alludere in verità alla politica fiscale e di bilancio: per evitare discrepanze rispetto alla cornice normativa della costruzione europea rimarremo fedeli alla terminologia utilizzata in quel contesto.

[2] Bundesverfassungsgericht 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15.

[3] Ad es. European Central Bank, The Monetary Policy of the Ecb (2011), www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/monetarypolicy2011en.pdf?4004e7099b3dcdbf58d0874f6eab650e, 64.

[4] Bundesverfassungsgericht 5 maggio 2020, cit., 170.

[5] O. Chessa, Perché il tribunale costituzionale tedesco sbaglia nel censurare gli «effetti di politica economica» della Bce? (8 Maggio 2020), www.lacostituzione.info/index.php/2020/05/08/perche-il-tribunale-costituzionale-tedesco-sbaglia-nel-censurare-gli-effetti-di-politica-economica-della-bce.

[6] Memorandum del 12 febbraio 1969, in Bollettino delle Comunità europee, 1969, Suppl. 3, 3 ss.

[7] Comunicato finale della conferenza del 2 dicembre 1969, in Bollettino delle Comunità europee, 1970, 11 ss.

[8] Decisione del Consiglio del 6 marzo 1970, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, L 59 del 14 marzo 1970, 39.

[9] Rapporto sulla realizzazione per fasi dell’Unione economica e monetaria nella Comunità dell’8 ottobre 1970, in Bollettino delle Comunità europee, 1970, Suppl. 11, 1 ss.

[10] I limiti al debito e al deficit sono stati fissati con il Protocollo 12 sulla procedura per disavanzi eccessivi.

[11] European Commission, Vade Mecum on the Stability & Growth Pact (2019 edition), https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/ip101_en.pdf.

[12] Da ultimo Y. Papadopoulos e S. Piattoni, The European Semester: Democratic Weaknesses as

Limits to Learning, in European Policy Analysis, 2019, 58 ss.

[13] Questo aspetto viene da tempo evidenziato in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: ad es. Report of the Independent Expert on the effects of foreign debt and other related international financial obligations of States on the full enjoyment of all human rights, particularly economic, social and cultural rights, Cephas Lumina (10 aprile 2011), www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/RegularSession/Session20/A-HRC-20-23_en.pdf.

[14] Tribunal constitucional 5 luglio 2012, n. 353 e 5 aprile 2013, n. 187.

[15] F. Losurdo, Lo Stato sociale condizionato. Stabilità e crescita nell’ordinamento costituzionale, Torino, 2016.

[16] Corte costituzionale 10 marzo 2015, n. 70.

[17] Corte costituzionale 16 dicembre 2016, n. 275.

[18] Dichiarazione relativa al primato (n. 17).

[19] Corte costituzionale 22 ottobre 2014, n. 238.

[20] A. Guazzarotti, Sovranità e integrazione europea (2 agosto 2017), www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/11.%203_2017_Guazzarotti_.pdf, 7.

[21] Cfr. A. Guazzarotti, La sovranità tra Costituzioni nazionali e Trattati europei (20 aprile 2020), www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/900/874.

[22] Cfr. P. Faraguna, Il Bundesverfassungsgericht e l’Unione europea, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2016, 431 ss.

[23] Bundesverfassungsgericht 30 giugno 2009, 2 BvE 2/08.

[24] Bundesverfassungsgericht 7 settembre 2011, 2 BvR 987/10.

[25] Bundesverfassungsgericht 12 ottobre 1993, BvR 2134, 2159/92.

[26] Bundesverfassungsgericht 5 maggio 2020, cit., 181 s.

[27] M. Draghi, We face a war against coronavirus and must mobilise accordingly (25 marzo 2020), www.ft.com/content/c6d2de3a-6ec5-11ea-89df-41bea055720b.

[28] A. Somma, Dal coronavirus al debito. Come l’emergenza sanitaria consolida le relazioni di potere tra Paesi europei (24 aprile 2020), www.economiaepolitica.it/crisi-economica-coronavirus-italia-unione-europea-mondiale/debito-coronavirus-italia-unione-europea.

[29] Pandemic Emergency Purchase Programme: cfr. Decisione della Banca centrale europea su un programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica del 24 marzo 2020, Bce/2020/17.

[30] Art. 5 Decisione della Banca centrale europea su un programma di acquisto di attività del settore pubblico sui mercati secondari del 3 febbraio 2020, Bce/2020/9.

[31] ECB takes steps to mitigate impact of possible rating downgrades on collateral availability (22 aprile 2020), www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.pr200422_1~95e0f62a2b.en.html.

[32] B. Bossone, Monetizzazione del debito durante il Covid19: c’è molto da chiarire (29 aprile 2020), www.economiaepolitica.it/crisi-economica-coronavirus-italia-unione-europea-mondiale/monetizzazione-del-debito-pubblico-covid-19-chiarimenti-significato-signoraggio.

[33] Considerando 3 Decisione della Banca centrale europea su un programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica del 24 marzo 2020, cit.

[34] Proposta di Regolamento che istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza (Sure) a seguito della pandemia di Covid-19 del 2 aprile 2020, Com/2020/139 fin.

[35] Bundesverfassungsgericht 5 maggio 2020, cit., 216 s.

[36] Bundesverfassungsgericht 5 maggio 2020, cit., 171.

[37] Report on the comprehensive economic policy response to the Covid-19 pandemic (9 aprile 2020), www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic.

[38] Guideline on Precautionary Financial Assistance del 9 ottobre 2012, www.esm.europa.eu/sites/default/files/esm_guideline_on_precautionary_financial_assistance.pdf.

[39] Regolamento Ue 21 maggio 2013 n. 472 sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella zona Euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria.

[40] Letter from Executive Vice-President Dombrovskis and Commissioner Gentiloni to Eurogroup President Centeno clarifying how the Commission intends to carry out surveillance in the framework of the Esm’s pandemic crisis support (7 maggio 2020), https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/letter_to_peg.pdf.