Anticipazione DPCE Online 2-2020 - Nazionalismo giudiziario e diritto dell’Unione europea: prime note alla sentenza del BVerfG sui programmi di acquisto di titoli del debito della BCE

2020-05-09

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Di Gino Scaccia 

1. La decisione della Corte costituzionale tedesca sul programma di acquisto di titoli del debito pubblico PSPP irrompe rumorosamente nel dibattito pubblico europeo sui poteri della Banca centrale e mentre assolve, in sostanza, il Quantitative easing draghiano, sia pure imponendo all’istituto di Francoforte una lieve penitenza, preannuncia invece una condanna senza appello delle misure di sostegno finalizzate a reagire alla crisi economica causata dal Covid-19. A questo esito dai riflessi ancora imprevedibili sui mercati finanziari il Bundesverfassungsgericht giunge con una pronuncia che, con tono talora ingenuamente assertivo, declina la dottrina dei controlimiti al diritto UE in una variante inedita e radicale, e lo colloca sul fronte più avanzato della polemica con la Corte di giustizia, facendone l’apripista della contestazione in chiave costituzionale del principio di supremazia del diritto eurounitario. Questa, con la sintesi epigrammatica imposta da un’osservazione a prima lettura, la sostanza “politica” della decisione. Prima, però, i fatti.

2. La sentenza aveva ad oggetto la legittimità del programma di acquisto di titoli di debito pubblico denominato Public Sector Purchase Program (PSPP), attuato dalla BCE a partire dal marzo 2015 nell’ambito delle operazioni messe in campo per reagire alla crisi dei debiti sovrani, che metteva a rischio la stessa stabilità e preservazione della moneta comune.

La compatibilità di questo programma con il divieto di finanziamento monetario dei bilanci degli Stati membri di cui all’art. 123 TFUE è stata attestata dalla Corte di giustizia – attivata proprio dalla Corte tedesca con un rinvio pregiudiziale – con la sentenza dell’11 dicembre 2018 nel caso Weiss. Su questo specifico punto la decisione in commento sospende il giudizio, ritenendo di non avere sufficienti elementi per valutare se la BCE si sia mossa nell’ambito delle sue attribuzioni. Chi ha ecceduto dai propri poteri, invece, secondo i giudici di Karlsruhe, è la Corte di Lussemburgo. Attestando in modo “non comprensibile” che le decisioni della BCE sul PSPP siano rispettose del principio di proporzionalità, la CGUE avrebbe esercitato uno scrutinio troppo “morbido” sulle motivazioni addotte dalla BCE e avrebbe offerto dei Trattati un’interpretazione “arbitraria”, in tal modo eccedendo dai propri poteri, e cioè ponendosi ultra vires. Con l’effetto che, per questa parte, la sentenza Weiss sarebbe priva di efficacia nell’ordinamento tedesco e quindi non vincolerebbe la Corte costituzionale.

Su questa scarna premessa, i cui passaggi logici saranno in seguito meglio articolati, il BVerfG, accogliendo una serie di ricorsi diretti, ha ingiunto al Governo federale e al Bundestag di assumere iniziative finalizzate ad esigere dalla BCE i necessari chiarimenti circa il rispetto del principio di proporzionalità, assegnando all’istituto di Francoforte tre mesi di tempo per fornire una congrua giustificazione, e ha medio tempore diffidato ogni organo statale, e in particolare la Bundesbank, dal porre in essere, per la loro rispettiva parte, atti esecutivi del programma di acquisto titoli in discussione. Il vizio che si imputa alla BCE non è tanto un difetto di proporzionalità, quanto un difetto di motivazione, che è da presumere possa essere sanato nel termine indicato dal giudice di Karlsruhe. Il Governo tedesco, in effetti, ha immediatamente dichiarato di volersi muovere nella direzione richiesta dal BVerfG e il Consiglio direttivo della BCE ha altrettanto tempestivamente assicurato di voler tenere nel debito conto la decisione in esame.

È ben possibile, dunque, come ha vaticinato il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che in tempi rapidi giungano alle istituzioni tedesche le precisazioni richieste dalla Corte di Karlsruhe e che conseguentemente la Bundesbank possa continuare a prender parte al PSPP acquistando titoli di Stato tedeschi, secondo le modalità consuete. Lo scenario è anzi probabile, se si considerano le conseguenze addirittura paradossali che si verrebbero a determinare ove la BCE omettesse ogni risposta o – il che è lo stesso – fornisse al quesito una replica ritenuta non soddisfacente dalle istituzioni tedesche e dalla Corte costituzionale. In questo caso, infatti, la Bundesbank, in ottemperanza alla sentenza, avrebbe l’obbligo di sospendere la propria partecipazione al programma di acquisto di titoli e dovrebbe pure dismettere sul mercato le obbligazioni “illegittimamente acquisite” e detenute in portafoglio, che ad oggi il quotidiano MilanoFinanza stima in 533 miliardi di Euro. Ne deriverebbe un fisiologico deprezzamento dei titoli del debito tedeschi, in conseguenza della loro immissione massiccio sul mercato, un simmetrico aumento del tasso di rendimento dei Bund e, paradossalmente, una riduzione del differenziale con i titoli di altri Stati membri. In breve: un aumento del costo del debito tedesco e una riduzione dello spread. È davvero questo che vuole la Germania? Sarebbe beffardamente divertente per noi orgogliosi cittadini di Stati finanziariamente “canaglieschi”, ma è del tutto improbabile.

C’è dell’altro, dunque. Il vero bersaglio del BVerfG non è il PSPP, consegnato ormai alla pacificante dimensione del passato, ma i nuovi programmi di acquisto, a partire da quelli ideati per fronteggiare la pandemia. A fornircene un primo indizio è la reazione della BCE, che ha ribadito, per un verso di agire nell’ambito del suo mandato facendo richiamo alla sentenza Weiss; per l’altro, di restare pienamente impegnata a fare “everything necessary” (traslitterazione del celebre “whatever it takes” di Draghi) per assicurare che l’inflazione salga a livelli coerenti con il suo obiettivo di medio termine (il 2%) e che le azioni di politica monetaria assunte con l’obiettivo di mantenere la stabilità siano “transmitted to all parts of the economy and to all jurisdiction of the euro area”[1].

Come spiegare questa voluta e quasi ostentata precisazione, visto che la Corte tedesca non imputa alla BCE di essersi discostata dal suo mandato, ma solo di essere incorsa in un difetto di motivazione peraltro sanabile? L’impressione è che la Banca francofortese abbia inteso rassicurare gli operatori finanziari, prefigurando i riflessi che la pronuncia – di là dai suoi effetti normativi – potrà avere sui mercati e sul dibattito più che mai acceso attorno alle misure di sostegno finanziario messe in campo per superare la crisi da Covid-19.

L’impressione si rafforza se si esaminano i paragrafi 217 ss. della sentenza, in cui il BVerfG definisce gli elementi da tenere in conto per verificare se il programma PSPP violi il divieto di finanziamento monetario dei bilanci degli Stati membri. La sentenza Weiss ha ritenuto sufficienti a comprovare il rispetto del mandato della BCE essenzialmente tre elementi: l’anticipata definizione del volume degli acquisti, la proporzione degli acquisti rispetto alla partecipazione al capitale della BCE e la previsione del limite comunque invalicabile del 33% di acquisti per numero di identificazione internazionale dei titoli (ISIN). Questi vincoli, che erano previsti per il programma PSPP, sono arbitrariamente assunti dalla Corte tedesca come caratteri indefettibili di ogni misura di sostegno finanziario promossa dalla BCE. Diventano i paradigmi sui quali incardinare l’ultra vires Kontrolle della Corte tedesca sulle operazioni di politica monetaria della Banca e sulle stesse pronunce della Corte di Lussemburgo che ne validassero l’operato. È agevole a questo punto constatare che le predette condizioni non sono previste dal Pandemic Purchasing Program (PPP) della BCE.

Si chiarisce allora l’obiettivo non dichiarato, ma visibile, della pronuncia, che mentre discorre di PSPP e chiede al Governo e al Bundestag di sollecitarne una modifica rispetto alla sua forma attuale, preannuncia pure, in prospettiva, l’incompatibilità con i Trattati del programma di acquisti legato al Coronavirus. Quali ne sarebbero gli effetti? Prospettando la possibile ritirata della Bundesbank – il maggior contributore e anche, sebbene ciò si tenda ad ometterlo, il maggior beneficiario del riparto degli utili della BCE – e intimando a Cancelleria e Parlamento di monitorare le decisioni della BCE sugli acquisti di titoli di Stato e di assoggettarle a più stringenti oneri giustificativi, i giudici tedeschi sembrano voler porre un limite preventivo alle misure che la Banca si appresta a mettere in campo. Un limite che il BVerfG si dichiara competente a far valere nei confronti della BCE anche quando, come nel caso dei PSPP, la Corte di giustizia si sia già pronunciata nel senso della conformità dell’operato della Banca al diritto UE. Resterà sempre possibile, infatti, verificare se la sentenza della Corte di Lussemburgo sia stata emessa “ultra vires”, per aver violato il principio di proporzionalità, di cui il BVerfG si erge ad unico arbitro e interprete.

In questo quadro, il Pandemic Programme Purchase si candida naturalmente ad essere bersaglio – quanto meno in Germania – di ricorsi diretti di costituzionalità e di una probabile declaratoria di illegittimità/inefficacia da parte dell’inflessibile, germanico Hueter der Verfassung. La Corte di Karlsruhe si sforza di negarlo, ma in realtà lo lascia intravedere, e rischia così di condizionare i mercati e, in ultima analisi, di sospingere i Paesi debitori verso forme di salvataggio alternative a quelle azionabili dalla BCE. L’incertezza circa la capacità effettiva della Banca francofortese di stendere come in passato la sua “rete protettiva” sui Paesi in difficoltà potrebbe, infatti, causare turbolenze finanziarie sui loro titoli di debito e far venire meno, in sede politica, la moneta di scambio offerta ai Paesi debitori per compensare il rigetto della proposta di emettere titoli comuni (Eurobond) e le resistenze all’uso del bilancio europeo a fini solidaristici: cioè la possibilità di azionare il bazooka monetario della BCE. Se dovesse cessare la stagione degli acquisti tendenzialmente illimitati, vista anche la perdurante ostilità verso i Coronabond di Paesi non marginali nello scacchiere europeo, il “paracadute” non potrebbe essere fornito che dal MES. Del resto il PSPP, nella sua configurazione attuale – lo ricorda non casualmente la Corte tedesca – ha effetti analoghi agli strumenti di assistenza finanziaria di cui agli artt. 12 e ss. del Trattato MES. Vi è però una significativa differenza: il MES – e a Karlsruhe lo sanno meglio di chiunque altro – deve accompagnarsi alla previsione di “rigorose condizionalità”, come testualmente dispone l’art. 136 TFUE. Ecco dunque squadernato il possibile risultato del gioco di carambola azionato dalla sentenza in commento: condizionando il mandato della BCE a un controllo di legittimità costituzionale alternativo a quello della stessa Corte di giustizia – il cui giudizio potrebbe essere stimato ‘ultra vires’ se non ritenuto sufficientemente motivato – e messo il guinzaglio alle operazioni monetarie prefigurate per superare la crisi del Covid-19, la Corte tedesca lascia in campo il MES come unica soluzione accessibile ai Paesi più duramente provati dallo shock della pandemia; e con il MES, come si è anticipato, giungerebbero anche, inevitabilmente, a meno di una irrealistica – e comunque dilatata nel tempo – modifica dei Trattati, le ‘rigorose condizionalità’ in tema di politica economica che esso comporta.

Il tribunale costituzionale tedesco vuole dunque ingabbiare la BCE per lasciare campo libero alla Troika

3. Analizzati i riflessi politico-economici della decisione in esame, va ora detto che le premesse teoriche sulle quali essa poggia suscitano numerosi interrogativi e lasciano consistenti dubbi sulla loro solidità scientifica.

È anzitutto ambiguo e contraddittorio il legame che la Corte tedesca istituisce fra principio di attribuzione e principio di proporzionalità, cioè la tesi che la BCE si collocherebbe fuori del mandato conferito dai Trattati (e dunque dagli Stati membri) quando agisce senza porre in un rapporto di ragionevole proporzione le misure di politica monetaria e gli effetti di politica economica da esse derivanti. Il principio di proporzionalità, a questa stregua, si può dire rispettato quando l’obiettivo del programma di politica monetaria e gli effetti di politica economica siano “identificati, soppesati e bilanciati”, mentre risulta violato quando l’obiettivo del programma di politica monetaria sia perseguito “incondizionamente” e i suoi effetti di politica economica siano “ignorati”[2]. La Corte tedesca, che nel rinvio pregiudiziale sulle Outright monetary transactions[3] (OMT1) contestava alla BCE di essere fuori dal proprio mandato giacché poneva in essere operazioni di politica economica anziché attenersi alla politica monetaria, compie qui un completo rovesciamento dialettico e chiede ora alla Banca di identificare, soppesare e bilanciare gli effetti di politica economica delle proprie misure monetarie, incorrendo altrimenti in una violazione del suo mandato e agendo specificamente in carenza di potere. La valutazione dei riflessi di politica economica delle misure monetarie, che nel rinvio pregiudiziale sulle OMT comprovava la lesione del principio di attribuzione, diventa qui una condizione per il corretto esercizio della stessa. E ciò senza dire che se davvero le misure monetarie, come appare del resto logico, vanno adottate in considerazione dei loro riflessi di politica economica, è scontato che l’analisi delle conseguenze, e dunque degli effetti di politica economica potrè condizionare l’adozione e la portata delle misure di intervento monetarie. Politica economica e politica monetaria, proprio nella prospettiva del loro vicendevole bilanciamento, finirebbero insomma per embricarsi, anziché restare distinte e separate come la Corte tedesca postulava allorché denunciava come ultra vires le operazioni OMT. Inoltre, come è stato esattamente rilevato da Poiares Maduro[4], sembra nel pensiero della Corte tedesca che la BCE debba tener conto solo, nel delineare gli obiettivi di politica monetaria, dei costi, o delle esternalità negative in termini di politica economica e fiscale, non anche dei benefici indiretti delle misure monetarie. Per questo aspetto, la sentenza è, quindi, del tutto contraddittoria.

Ma a sorprendere negativamente è anche l’intonazione assertivamente sovranista del controllo costituzionale sull’ultra vires, che in questa pronuncia si presenta in forme inedite rispetto alla prima elaborazione, risalente alla sentenza Maastricht, e segna una preoccupante traiettoria di sviluppo della dottrina dei controlimiti.

In tutte le diverse declinazioni che questa dottrina – di conio italiano – ha conosciuto anche da parte della Corte tedesca (dapprima con il controllo sul rispetto dei diritti fondamentali nelle pronunce Solange I e Solange II, poi con l’ultra vires Kontrolle ideato nella sentenza Maastricht, da ultimo con l’Identitaetskontrolle modellato dal Lissabon-Urteil), sempre era restato saldo, nei rapporti fra Corti e ordinamenti giuridici nazionale e comunitario, il principio del rispetto delle altrui attribuzioni e la salvaguardia delle rispettive giurisdizioni. La stessa negazione di efficacia agli atti del diritto UE, quale riflesso dell’attivazione di un controlimite costituzionale, non derivava da un loro vizio intrinseco, cioè rilevabile all’interno dell’ordinamento d’origine, ma discendeva da un contrasto con principi supremi o diritti inviolabili consacrati nella Costituzione nazionale, che spetta naturalmente alle Corti costituzionali interpretare in via ultimale. Mai ci si era finora sospinti sul terreno da gioco altrui. Rex in regno suo est imperator era la regola non scritta, ma comunemente accettata nei dialoghi e nei contrasti fra Corti.

Il BVErfG ritiene invece ora che la Corte di giustizia ecceda il proprio mandato quando l’interpretazione data ai Trattati “non sia comprensibile” e “debba perciò essere considerata arbitraria da una prospettiva obiettiva” (sic!), concludendo che in questi casi le decisioni del giudice lussemburghese non trovano più copertura nell’art. 19 del TUE e nella legge autorizzativa nazionale e quindi “difettano del minimo di legittimazione democratica necessaria” per essere efficaci nell’ordinamento tedesco[5]. Karlsruhe si proclama competente a rilevare la plausibilità e l’interna coerenza delle pronunce della Corte di Lussemburgo, rivendicando l’ultima parola sulla stessa interpretazione dei Trattati, che ritiene di poter considerare arbitraria “da una prospettiva obiettiva”. Se nella filosofia hegeliana il pensiero oggettivo, inteso nel suo senso più alto, reale e concreto, è Dio[6], nel pensiero giuridico della Corte tedesca l’oggettività del reale coincide con le proprie infallibili decisioni. E se è ingeneroso imputare al BVerfG di volersi riconoscere attributi divini, appare evidente che esso, con gli accenti assertivi di cui si è detto, si autorappresenta come una giurisdizione d’appello, o meglio di Cassazione, rispetto alla Corte di giustizia. Non contesta, ciò che sarebbe pur sempre possibile nelle forme processuali dovute, la titolarità della potestas judicandi della Corte lussemburghese, ma ritiene di poterne censurare il modo di esercizio, denunciando i vizi logici della motivazione e l’errata interpretazione del diritto europeo, e da ciò fa discendere, con circolarità logica più che dubbia, il difetto di potestas judicandi conseguente all’aver agito ultra vires.

Al di là del carattere acrobatico dell’argomentazione, l’attacco alla Corte di giustizia, al principio di attribuzione nel cui nome si dichiara di agire, e in definitiva al principio di supremazia, non potrebbe essere più duro, e preoccupante. L’applicazione di un così incisivo scrutinio costituzionale sul diritto UE trascende infatti la vicenda concreta e promette di segnare un nuovo più avanzato fronte di scontro con la Corte di Lussemburgo e con le istituzioni europee in generale, alimentando la tendenza diffusamente manifestatasi negli ultimi anni nelle Corti costituzionali a stringere le maglie del controllo sul diritto europeo, fino a comprometterne i due principi cardine: primato ed effetto diretto. In un articolo in corso di pubblicazione su una rivista statunitense, ho cercato di indagare i motivi profondi – qui non rappresentabili neppure per cenni – di questo risorgente nazionalismo giudiziario[7], che Doreen Lustig and Joseph Weiler considerano espressione di una più generale “third wave” del controllo di costituzionalità[8]. In quella sede ho argomentato la tesi che, al pari del nazionalismo politico (o sovranismo, come usa dire nel discorso pubblico), anche il nazionalismo giudiziario può assumere due forme opposte: una forma destrutturante/suprematista e una forma costruttiva/costituzionale. La prima sprigiona una forza anti-pluralistica, distruttiva, giacché muove dalla proclamazione di una sovranità costituzionale sciolta da ogni interdipendenza e si manifesta nella contestazione aperta della dottrina della primacy del diritto europeo e delle attribuzioni della Corte di giustizia. La seconda esprime, al contrario, una forza conflittuale, ma costruttiva, progressiva, in quanto finalizzata alla risoluzione dei problemi conseguenti all’ancora incompleto processo di costituzionalizzazione dell’Unione. Questa forma “costituzionale” di nazionalismo giudiziario non pone in discussione il primato del diritto UE o l’effetto vincolante delle decisioni della Corte di Lussemburgo, e anche quando interdice l’efficacia del diritto comunitario nell’ordinamento nazionale, lo fa attivando forme di controllo costituzionale che non pregiudicano né mettono in discussione la giurisdizione della Corte europea; non la delegittimano, ma sono piuttosto animate dalla ricerca di un confronto ispirato alla leale cooperazione istituzionale e alla Europafreundlichkeit[9]

La decisione su cui ci si è intrattenuti, già ad una prima lettura, fatica ad essere collocata fra gli esempi di nazionalismo giudiziario progressivo. Possiamo solo confidare, volendo chiudere con un accento ottimistico, che le pesanti condizionalità poste dalla Corte tedesca a forme non ortodosse di mutualizzazione dei debiti o di solidarietà fiscale abbiano reso matura la consapevolezza che lo sviluppo dell’Unione in direzione di una vera comunità politica non potrà avvenire forzando fino al loro limite estremo strumenti e istituti sorti con finalità diverse o confidando ancora nel funzionalismo legale, ma richieda indifferibili scelte di tono costituzionale, anche e soprattutto in campo fiscale e finanziario. È toccato ai giudici tedeschi suonare l’allarme e lanciare la sfida. Spetta alla politica raccoglierla.

 

 

 

[1] cfr. Press release BCE del 5 maggio 2020.

[2] Lo si legge nei paragrafi 165 ss. della sentenza.

[3] I programmi di acquisto dei titoli del debito sul mercato secondario.

[4] M. Pioares Maduro, Some preliminary remarks on the PSPP Decision of the German Constitutional Court, in Verfassungsblog.de, 6 maggio 2020.

[5] Sarebbero violati, in particolare, gli Art. 23 (1), 20, I e II e 79 della legge fondamentale. 

[6] G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 2002, § 1, p. 3.

 

[7] G. Scaccia, Judicial Nationalism and the Constitutional Review of EU Law. The lesson learned from the Taricco saga, in corso di pubblicazione in American University International Law Review.

[8] D. Lustig - J. H. H. Weiler, Judicial review in the contemporary world—Retrospective and prospective, in I.CON (2018), Vol. 16 No. 2, 315 ss. Il tratto caratterizzante di questa terza ondata sarebbe la sottoposizione a scrutinio costituzionale del diritto internazionale ed europeo.

[9] Riprendiamo qui l’espressione impiegata proprio dal Bundesverfassungsgericht nella sentenza 6 Luglio 2010, nel caso Honeywell (BVerfGE 126, 286 ff.) and 21 June 2016, nel caso OMT/Gauweiler.