[OsservatorioCovid19] Le misure di contenimento della diffusione del COVID-19: la sospensione dell’accordo di Schengen.

2020-03-29

di Gaspare Fiengo

Per far fronte tempestivamente all’emergenza sanitaria, propagatasi in rapida successione dall’Italia a tutto il resto del Continente europeo, la Commissione ha messo in campo una serie di misure straordinarie - subito approvate dal Consiglio europeo[1] - volte a limitare temporaneamente i viaggi non essenziali verso l’Unione europea. Si è realizzata, pertanto, la chiusura delle frontiere esterne del territorio dell’UE per un periodo di 30 giorni, attraverso la sospensione dell’applicazione del Trattato di Schengen[2], il quale finora era stato sospeso solo a livello di singoli Stati membri per emergenze dovute all’ordine pubblico, come ad es., in occasione del G8 di Genova nel 2001 per l’Italia; in occasione del G8 tedesco di Schloss Elamu del 2015; in seguito alla strage nella redazione di Charlie Hebdo del 2015, laddove la Francia reintrodusse, unilateralmente, i controlli a tutte le sue frontiere fino al 30 aprile 2019.

Le misure in parola sono confluite in due differenti strumenti di soft law, per certi versi atipici, quali gli Orientamenti e le Comunicazioni, entrambi adottati dalla Commissione il 16 marzo 2020: gli Orientamenti “COVID-19 Guidelines for border management measures to protect health and ensure the availability of goods and essential services”; la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio “COVID-19 Temporary Restriction on Non-Essential Travel to the EU[3].

Tali atti costituiscono degli orientamenti sulla gestione delle frontiere, con l’obiettivo, da un lato, di proteggere la salute dei cittadini e, dall’altro, di garantire il corretto trattamento delle persone che devono viaggiare, nonché la disponibilità di beni e servizi essenziali.

Bisogna aggiungere a tale riguardo che la Commissione, sulla falsariga del suo primo provvedimento, in data 23 marzo 2020, ha pubblicato nuovi consigli pratici sulle modalità di attuazione degli orientamenti per la gestione delle frontiere, in modo da consentire il trasporto delle merci in tutta l’Unione europea. Questa volta lo strumento prescelto è quello della Comunicazione “on the implementation of the Green Lanes under the Guidelines for border management measures to protect health and ensure the availability of goods and essential services”[4].

Si tratta di provvedimenti che pur potrebbero, prima facie, solleticare la tentazione di avventurarsi sullo scivoloso sentiero di un parallelismo con i nostri recenti e tanto controversi D.P.C.M. in tempo di emergenza Coronavirus, stante il fatto che promanino anch’essi dall’Esecutivo (europeo) e che difettino di una solida base giuridica nei Trattati istitutivi (Costituzione). Tuttavia, una siffatta lettura in chiave comparatistica si palesa subito quanto mai improbabile, dal momento che la prassi delle Istituzioni europee, ed in particolare quella della Commissione europea, ci ha già da tempo abituati a far di conto con strumenti atipici, di soft law, in circostanze in cui l’urgenza di provvedere alla disciplina di talune situazioni contingenti non permetta di dar luogo alle vischiose procedure legislative previste per l’adozione di tipici atti normativi europei.

Tralasciando in questa sede la questione della natura giuridica e dell’efficacia di tali atti di soft law sui quali, in dottrina[5], si è a lungo dibattuto e venendo al contenuto delle misure in esame, occorre immediatamente sottolineare come esse siano state concepite prevalentemente nell’ottica di garantire che le catene di approvvigionamento continuassero a funzionare regolarmente, poiché, soprattutto nell’attuale momento di crisi sanitaria, il trasporto di merci per via terrestre, navigabile ed aerea risulta essere di vitale importanza.

Di particolare rilievo è il fatto che, operando in maniera sinergica, tutte e tre le misure prefigurate nelle disposizioni sopra citate, sebbene insistano su differenti piani di intervento, concorrano a delineare un quadro di regole di condotta che assicurano una drastica riduzione dei flussi di persone in ingresso alle frontiere esterne dell’Unione, rallentando così anche la trasmissione del virus, attraverso la restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’Unione europea. La convergenza di tutti gli Stati su questo aspetto contribuisce a rendere le frontiere esterne dell’UE un perimetro di sicurezza per tutti gli Stati Schengen, determinando automaticamente la revoca di tutte quelle misure di controllo alle frontiere interne che, autonomamente, i vari Stati membri avevano pur introdotto di recente, in assenza di regole concertate a livello europeo, nel tentativo di arginare la diffusione del virus. Nello specifico, quindi, tutte le persone, cittadini dell’Ue e non dell’UE, che attraversano le frontiere esterne per entrare nello spazio Schengen sono soggette a controlli sistematici nei punti di attraversamento delle frontiere. Tali controlli possono comprendere quelli a carattere sanitario.

Per converso, su ben altro fronte, ma in stretta correlazione, appunto, insiste l’altro provvedimento che sottolinea il principio secondo cui tutte le frontiere interne dell’UE dovrebbero rimanere aperte al trasporto di merci e le catene di approvvigionamento devono essere garantite per i prodotti essenziali. La libera circolazione delle merci, specialmente in momenti di emergenza e nell’interesse collettivo, richiede che gli Stati membri applichino pienamente tali regole di condotta in tutti i punti di valico delle frontiere interne. In tale ottica vanno, inoltre, ricondotte le «green lanes» della Comunicazione di accompagnamento degli Orientamenti della Commissione, dando vita ad un processo collaborativo in tutta l’UE per garantire che tutti i beni essenziali, come i prodotti alimentari e le forniture mediche, arrivino a destinazione rapidamente e senza ritardi.

Del resto, va ricordato che, alla stregua del codice frontiere Schengen, tutte le decisioni di rifiutare o accettare l’ingresso nel territorio di uno Stato membro devono essere oggetto di una valutazione da parte delle autorità nazionali competenti, spettando agli Stati membri rifiutare l’ingresso, per motivi di salute pubblica, a cittadini di paesi terzi. Invero, tra le condizioni di ingresso che i cittadini di paesi terzi che arrivano alle frontiere esterne dell’UE devono soddisfare, figura quella di non costituire una minaccia per la salute pubblica nazionale. In presenza di tale minaccia, lo Stato potrà richiedere alla persona interessata di sottoporsi ad un controllo sanitario. Tale decisione dovrà essere coordinata con il Comitato per la sicurezza sanitaria e notificata al Sistema di allarme rapido e di reazione (EWRS), tenendo altresì conto delle valutazioni del rischio effettuate dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Ai fini di un efficace coordinamento, infatti, tutte le autorità competenti in materia di sanità pubblica di ciascuno Stato membro dell’Unione europea dovrebbero essere sempre informate e coinvolte circa l’adozione di decisioni nazionali in merito ai controlli di frontiera che consentano o rifiutino l’ingresso alle frontiere, conformemente alla legislazione sanitaria nazionale e dell’Unione e alle procedure stabilite da ciascuno Stato membro. Sebbene, dunque, gli Stati membri possano ripristinare i controlli alle frontiere interne, tuttavia, alle persone che manifestino sintomatologie epidemiologiche non dovrebbe essere negato l’ingresso, ma andrebbero sottoposte a visita. Del resto, come sottolinea pure l’OMS, il ripristino dei controlli alle frontiere interne al fine di rifiutare l’ingresso non è considerato un’adeguata misura preventiva (o correttiva), risultando le misure di quarantena sicuramente più appropriate.

Quanto ai cittadini dell’UE restano ferme tutte le salvaguardie istituite dalla direttiva sulla libera circolazione ed in particolare la non discriminazione tra i cittadini degli Stati membri e i cittadini dell’UE residenti. Gli Stati membri non possono negare l’ingresso ai cittadini dell’UE che risiedono sul loro territorio. Possono, tuttavia, adottare misure opportune, cioè ad esempio quella di richiedere alle persone che entrano nel loro territorio, a maggior ragione nel caso rientrino da una zona colpita da COVID-19, di porsi in auto-isolamento, a condizione che impongano le stesse misure ai propri cittadini. Inoltre, gli Stati membri devono facilitare il transito dei cittadini dell’UE che ritornano nello Stato membro di cui hanno la cittadinanza o la residenza.

 

 

 

 

 

[1] Conclusioni del Presidente del Consiglio europeo del 17 marzo 2020, in https://www.consilium.europa.eu. In tali Conclusioni, precisamente si legge: “Dobbiamo garantire il passaggio di medicinali, generi alimentari e merci e i nostri cittadini devono poter rientrare nei propri Paesi. Si troveranno soluzioni adeguate per i lavoratori transfrontalieri. Per limitare la diffusione del virus a livello globale abbiamo convenuto di rafforzare le nostre frontiere esterne applicando per un periodo di 30 giorni una restrizione temporanea coordinata dei viaggi non essenziali verso l'UE, sulla base dell'approccio proposto dalla Commissione negli orientamenti proposti in materia di gestione delle frontiere”.

[2] Ad oggi, l’area Schengen comprende 26 paesi: 22 membri dell’Unione e quattro esterni (Islanda, Liech­tenstein, Norvegia e Svizzera). L’Irlanda non ha aderito alla Convezione, esercitando una clausola di esclusione, il cosiddetto opt-out, mentre per Bulgaria, Cipro, Croazia e Romania il trattato non è ancora entrato in vigore.

[3] C(2020)115 final, Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council CouncilCOVID-19 Temporary Restriction on Non-Essential Travel to the EU, non ancora pubblicata in GU.

[4] C(2020)1897 final, Comunicazione della Commissione sull’attuazione delle corsie verdi («green lanes») previste dagli orientamenti relativi alle misure per la gestione delle frontiere destinate a tutelare la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali, in GU C 96I del 24.3.2020, p. 1.

[5] In argomento, cfr. A. Di Pascale, Gli atti atipici nel sistema delle fonti del diritto dell’Unione europea, Milano, 2017; P. De Luca, Gli atti atipici nel diritto dell’Unione europea, Torino, 2012; G. Fiengo, Gli atti atipici della Comunità europea, Napoli, 2008.