[FORUM DPCE Online - Cittadinanza] Cittadinanza e ius soli: una soluzione di compromesso

2017-07-19

di Claudia Marchese - 19 luglio 2017 

Il disegno di legge n. 2092 [Ddl Ius soli], il cui esame da parte del Senato è stato rinviato in data odierna al mese di settembre, costituisce una soluzione di compromesso al fine di fronteggiare diverse esigenze: da un lato, la legge sulla cittadinanza (L. 5 febbraio 1992, n. 91) necessita di essere rivisitata al fine di tenere conto dei consistenti flussi migratori che si sono succeduti negli ultimi anni e dei mutamenti prodottisi nel contesto sociale, e, dall’altro lato, appare evidente la necessità di evitare riconoscimenti automatici e generalizzati della cittadinanza.

Poste tali esigenze, occorre altresì tenere in considerazione le modifiche apportate, negli anni più recenti, alla normativa in materia di cittadinanza negli altri Paesi europei.

Infatti, se è vero che ciascun legislatore nazionale individua, nell’esercizio della propria discrezionalità e nei limiti della ragionevolezza, i requisiti al fine di riconoscere lo status di cittadino, è altresì vero che la disciplina vigente in Italia si colloca tra quelle più restrittive ai fini del riconoscimento agli stranieri del diritto alla cittadinanza e limitata è la rilevanza dello jus soli.

Diversamente, è possibile riscontrare un’ampia rilevanza dello jus soli in Paesi come la Germania, l’Irlanda, la Spagna, i Paesi Bassi.

Volendo compiere un rapido excursus è possibile rilevare come in Germania, a seguito della riforma entrata in vigore il 1° gennaio 2000, sia stata prevista l’acquisizione della cittadinanza per i figli di stranieri nati sul suolo tedesco, purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel Paese da almeno otto anni e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato.

La disciplina francese, invece, è caratterizzata dalla regola del c.d. doppio jus soli che garantisce l’automatico riconoscimento della cittadinanza francese al soggetto nato nel Paese da genitori stranieri a loro volta nati in Francia, qualunque sia la loro cittadinanza. Al di là di tale prescrizione, a seguito della riforma del 1998, è prevista l’acquisizione della cittadinanza francese da parte di ogni soggetto che, essendo nato su territorio francese da genitori stranieri, al momento del compimento della maggiore età risieda in Francia ovvero vi abbia avuto la propria residenza abituale per un periodo continuo o discontinuo di almeno cinque anni dall’età di undici anni.

La regola del doppio jus soli trova applicazione anche in Spagna. Nel caso in cui non ricorra l’ipotesi prevista dalla stessa, l’acquisizione della cittadinanza spagnola sarà possibile su richiesta se il minore è nato in Spagna e si sia configurato un periodo minimo di residenza di un anno.

Lo jus soli ha, poi, tradizionalmente trovato un’applicazione forte nell’ordinamento irlandese, tanto che nel 2005 si è reso necessario approvare una riforma che ne temperasse l’applicazione. A seguito di tale riforma, è stata prevista l’acquisizione della cittadinanza per i soggetti nati in Irlanda da genitori che abbiano legalmente risieduto, nei quattro anni antecedenti alla nascita del figlio, per almeno tre anni sul territorio della Repubblica.

In tale sede non appare possibile dilungarsi ulteriormente nel descrivere la legislazione dei singoli Stati europei, i richiami sin qui svolti appaiono però sufficienti al fine di delineare come la normativa attualmente vigente in Italia sia distante dalla disciplina presente in numerosi Paesi europei e come, al contrario, si collochi in questo solco la proposta di modifica sottoposta all’esame del Senato.

In particolare, il disegno di legge n. 2092 prevede il riconoscimento della cittadinanza a chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente o sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Appare evidente come questa prescrizione riprenda il modello tedesco e quello irlandese, con la sola differenza che il diritto di soggiorno permanente in Italia può essere acquisito dallo straniero solo dopo cinque anni di soggiorno legale nel Paese, mentre il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può essere richiesto da chi sia in possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità e dimostri la disponibilità di un reddito non inferiore all’impatto annuo dell’assegno sociale.

Si tratta, dunque, di una previsione che si va a collocare in un solco consolidato e che non determina un riconoscimento indiscriminato della cittadinanza a chiunque sia nato sul territorio italiano, giacché il riconoscimento avviene solo nel caso in cui sussista, per così dire, una certa stabilità sul territorio italiano del nucleo familiare.

Peraltro, in piena rispondenza con il modello tedesco, è reso possibile l’acquisto della cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, qualora non sia stata effettuata previamente richiesta in tal senso all’ufficiale dello stato civile.

Costituirebbe, invece, una peculiarità dell’ordinamento italiano, qualora fosse approvata, la previsione secondo cui acquista la cittadinanza italiana «il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età che, ai sensi della normativa vigente, ha frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale».

In primo luogo, occorre distinguere tale ipotesi dalla fattispecie precedentemente considerata. A tal fine, nel caso in cui il soggetto sia nato in Italia, non deve sussistere in capo ad entrambi o ad uno solo dei genitori la titolarità del diritto di soggiorno permanente ovvero il possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

In secondo luogo, occorre evidenziare come ad un primo esame non sembrano emergere in altri ordinamenti discipline che prevedono uno specifico regime per i soggetti richiedenti la cittadinanza, qualora essi siano compresi entro una determinata fascia di età.

Nonostante tale peculiarità, una simile previsione non appare irragionevole. Infatti, essa rinviene spiegazione nel regime di favor previsto dal disegno di legge nei confronti del minore straniero, sia questi nato in territorio italiano oppure vi sia giunto in epoca successiva. Appare evidente, infatti, lo scopo del disegno di legge di fronteggiare le problematiche legate al calo demografico ed al tasso di invecchiamento della popolazione del Paese, nonché di realizzare una piena inclusione sociale dei migranti stranieri più giovani.

A quest’ultima finalità è possibile ricondurre la previsione di un regime specifico per i minori stranieri ricompresi entro una determinata soglia di età e la richiesta, ai fini del riconoscimento della cittadinanza, della frequenza ovvero della conclusione di un corso di studi.

La previsione di quest’ultimo requisito non deve sembrare un’anomalia. Infatti, non costituisce un caso raro l’attribuzione di rilevanza al completamento di un ciclo di studi ai fini del riconoscimento della cittadinanza né è da condividere il ragionamento secondo cui si tratterebbe di un requisito posto al di fuori della disponibilità del soggetto richiedente.

In particolare, nell’ordinamento francese il periodo di residenza richiesto per la naturalizzazione dello straniero maggiorenne è ridotto a due anni nel caso in cui si dia prova di aver compiuto ed ultimato due anni di studi in un’università francese. Oltre a ciò, occorre dimostrare una sufficiente conoscenza della lingua nazionale e l’assimilazione alla comunità francese.

Analogamente, in Germania è attribuita rilevanza alla frequenza ed al superamento con esito positivo di corsi di integrazione, nonché al superamento di un test linguistico che certifichi la conoscenza della lingua tedesca. Senza considerare che dal 2008 è stato introdotto, tra i requisiti necessari ai fini del conseguimento della cittadinanza, il superamento di un test sull’ordinamento giuridico tedesco, prova dalla quale sono esonerati proprio coloro che raggiungono un’adeguata certificazione in una scuola tedesca.

Ѐ, pertanto, possibile ritenere che rientri nell’esercizio della discrezionalità del legislatore attribuire una peculiare rilevanza ai fini del riconoscimento della cittadinanza alla frequenza o al superamento di cicli scolastici. Infatti, se una delle finalità che si intende perseguire è l’integrazione nel tessuto sociale dei migranti più giovani, la scuola costituisce il miglior strumento di inclusione e di comprensione delle fondamenta culturali del Paese.

Infine, il requisito della frequenza di un ciclo scolastico ovvero di un percorso di istruzione e formazione professionale di durata triennale o quadriennale ricompare in relazione alla disciplina prevista per lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, ma successivamente al dodicesimo anno di età, e sia ivi residente da almeno sei anni.

Si tratta di un’ipotesi in cui i requisiti richiesti dal legislatore sono più dettagliati rispetto a quanto previsto per il minore straniero nato in Italia o che vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno.

Il disegno di legge pone, quindi, due distinte discipline: una prima riguardante il soggetto entrato sul territorio nazionale entro il dodicesimo anno ed una differente disciplina per il soggetto che vi abbia fatto ingresso successivamente. Secondo taluni una simile differenza sarebbe irragionevole, si potrebbe tuttavia ipotizzare una spiegazione alla stessa nella maggiore facilità di realizzare il processo di inclusione sociale per gli individui di più giovane età.

Occorre, poi, attribuire adeguata rilevanza ai vocaboli impiegati dal legislatore per disciplinare le differenti ipotesi: nel primo caso, il legislatore si riferisce espressamente al minore, nel secondo la lettera del disegno di legge fa riferimento genericamente allo straniero.

Tale differenza non è casuale in quanto il soggetto che abbia fatto ingresso sul suolo italiano successivamente al compimento del tredicesimo anno di età e vi abbia risieduto per almeno sei anni è un soggetto ormai divenuto maggiorenne. Pertanto, può ritenersi che il legislatore, nell’ipotesi da ultimo considerata, piuttosto che dettare una previsione di favore nei riguardi del soggetto minore, stia introducendo una deroga alla regola secondo la quale il riconoscimento della cittadinanza ai cittadini stranieri può avvenire solo se essi siano residente da dieci anni sul territorio italiano.

Nella fattispecie richiamata il richiedente la cittadinanza è un soggetto straniero maggiorenne per il quale si ritiene sufficiente la residenza in Italia per un periodo di sei anni in ragione del suo ingresso sul suolo italiano in un momento successivo al compimento del tredicesimo anno di età, ma antecedente al raggiungimento della maggiore età.

Una simile ricostruzione appare suscettibile di garantire una certa omogeneità e coerenza al disegno di legge. Tale coerenza si riscontra, per l’appunto, nel dettare un regime peculiare e preferenziale per il minore straniero, tenendo in adeguata considerazione anche la richiesta di cittadinanza avanzata dal soggetto maggiorenne entrato sul suolo italiano in un periodo compreso tra i tredici ed i diciotto anni. Da quanto sin qui esposto, è altresì possibile evidenziare come, seppure con talune particolarità, il disegno di legge si collochi nel solco della regolamentazione vigente in altri ordinamenti europei. Gli interrogativi rimasti irrisolti sono, semmai, di più ampio respiro ed attengono agli effetti sistemici dell’introduzione di una simile disciplina. In particolare, sarebbe opportuno riflettere sugli effetti e sulle interrelazioni di una simile riforma con la disciplina dell’immigrazione. A tal proposito, la pausa estiva potrebbe giovare.