Le dimissioni di Justice Kennedy e il consolidamento di una maggioranza conservatrice in seno alla Corte Suprema

2018-09-06

di Davide Zecca

Il 27 giugno, giorno in cui la Corte Suprema ha chiuso la sessione iniziata a ottobre 2017, Justice Anthony Kennedy ha indirizzato al Presidente Trump una lettera in cui formalizzava la propria intenzione di rassegnare le dimissioni da Associate Justice a far data dal 31 luglio dell’anno corrente. L’ottantaduenne giudice californiano ha concluso così un lungo mandato che lo ha visto sedere alla Corte Suprema per oltre trent’anni, come solo altri 15 Justices prima di lui. Prima di tracciare un bilancio dell’attività di Kennedy in questo trentennio e di valutare l’impatto delle sue dimissioni (e del subentro di un altro giudice) sugli equilibri interni alla Corte, vale la pena risalire al momento della sua nomina per comprendere le influenze esterne che hanno giocato un ruolo rilevante nella determinazione della composizione attuale della Corte (almeno per quanto riguarda la sua ala più ideologicamente conservatrice).       

Alle dimissioni di Justice Lewis Powell nel giugno 1987, il Presidente Reagan aveva nominato Robert Bork, che al tempo ricopriva la carica di giudice presso la Corte d’appello federale del District of Columbia e che aveva svolto l’incarico di Avvocato generale (Solicitor general) per i Presidenti Nixon e Ford. Proprio la fedeltà a Richard Nixon costò a Bork la nomina alla Corte Suprema. Infatti, egli fu responsabile, in qualità di Procuratore generale (il titolare dell’ufficio e il vice-procuratore generale avevano rifiutato di eseguire l’ordine, venendo destituiti dalla carica), del licenziamento del procuratore speciale Archibald Cox, nominato per indagare sullo scandalo Watergate, che di lì a poco avrebbe travolto lo stesso Nixon. Il coinvolgimento in questa vicenda e la posizione critica espressa nei confronti di una parte della giurisprudenza sui diritti civili delle Corti Warren e Burger portarono al diniego da parte del Senato del consent alla nomina, che fu respinta con una maggioranza di 58 voti a 42. Il Presidente Reagan aveva dunque nominato un altro giudice della Corte d’appello federale del District of Columbia, Douglas Ginsburg, il quale, tuttavia, rinunciò alla nomina alla Corte Suprema dopo la diffusione della notizia che egli aveva fatto uso di marijuana non soltanto da studente ma anche una volta divenuto assistente universitario. Fu così che, infine, il seggio vacante fu coperto con la nomina di Anthony Kennedy, che proveniva dalla Corte d’appello del Nono circuito (quindi dalla costa pacifica), il quale ricevette il consent del Senato nel febbraio del 1988 all’unanimità (97 voti favorevoli a 0).       

La complessa genesi della nomina di Kennedy può in parte spiegare come essa, già dal principio, non rientrasse del tutto nei canoni della parte più conservatrice della società americana, la quale, in quanto importante porzione dell’elettorato del Presidente Reagan, sperava che eventuali giudici nominati da quest’ultimo rispondessero alle aspettative ideologiche della stessa, come è stato, per esempio, nel caso di Antonin Scalia. Lo scetticismo dei circoli più conservatori è stato poi parzialmente confermato dal judicial record di Kennedy nel corso dei tre decenni trascorsi alla Corte. A tal proposito, ancora più imprevedibile è stato il comportamento di David Souter, il quale fu nominato al posto di William Brennan da George H.W. Bush per consolidare una maggioranza conservatrice che potesse finalmente ribaltare parte della giurisprudenza progressista degli anni ’60 e ’70. Tuttavia, a partire dal celebre caso Planned Parenthood v. Casey (1992), in cui Souter e lo stesso Kennedy impedirono l’overruling del principio sancito in Roe v. Wade (più diffusamente a riguardo infra), lo stesso Souter si spostò su posizioni moderate per poi finire con il votare spesso in accordo con l’ala liberal della Corte. Non si trattava però di un fenomeno inedito, perché già in passato altri giudici nominati da Presidenti repubblicani, come Earl Warren (Eisenhower), Brennan (Eisenhower), Blackmun (Nixon) e Stevens (Ford), avevano “tradito le attese”, divenendo addirittura i campioni dell’opposto schieramento all’interno della Corte.            

Memori di queste lezioni, i vertici del partito repubblicano, che nel frattempo aveva imboccato una svolta marcatamente conservatrice, che ne distingueva le posizioni da quelle adottate nei primi decenni del secondo dopoguerra, vollero assicurarsi che, quando fosse toccata nuovamente a un Presidente repubblicano la nomina di un giudice della Corte Suprema, la scelta sarebbe ricaduta su candidati “affidabili”.

L’influenza maggiore sulle nomine più recenti di questa area politica va attribuita alle organizzazioni di varia natura che, a partire dagli anni ’80, hanno investito ingenti risorse per dare supporto a giuristi e giudici che aderissero a una lettura originalista della Costituzione. Il primo di questi gruppi a nascere fu la Heritage Foundation: si tratta di un think tank di ispirazione conservatrice nato nel 1973 su iniziativa di due attivisti di orientamento repubblicano, i quali erano alfieri di un nuovo approccio nella ricerca in ambito di politiche pubbliche, specificamente orientato su posizioni apertamente tradizionali. L’organizzazione ebbe presto successo e nel gennaio 1981, all’avvio del primo mandato del Presidente Reagan, essa pubblicò uno studio intitolato “Mandate for Leadership” che conteneva migliaia di raccomandazioni su temi di politica pubblica. L’amministrazione Reagan trasse molto da tale documento, tanto che alcuni autori calcolano che circa il 60% del suo contenuto fu adottato già nel primo anno di Presidenza dell’ex-governatore della California. Anche la Presidenza Bush Sr. non fu immune dall’influenza dell’Heritage Foundation, seguendo in politica estera le indicazioni della fondazione, la quale continuò ad orientare il comportamento della maggioranza dei repubblicani che sedevano al Congresso anche durante la Presidenza Clinton. Non altrettanta considerazione essa ricevette negli otto anni di Presidenza di Bush jr., il quale ad essa preferì organizzazioni di stampo neo-conservatore. Con l’elezione di Barack Obama, l’Heritage Foundation tornò prepotentemente sulla scena politica, favorendo anche l’ascesa del Tea Party nelle gerarchie del partito repubblicano. Infine, durante la campagna elettorale presidenziale del 2016 la fondazione, entrata in conflitto con l’establishment repubblicano più ortodosso, si avvicinò a Donald Trump fino a divenire fondamentale per la redazione della lista dei suoi candidati a succedere a Scalia alla Corte Suprema.        

Parimenti se non più influente è la Federalist Society, che nacque nel 1982 presso la Yale Law School e poté godere fin dal principio del favore, fra gli altri, dell’allora Procuratore generale Edwin Meese. I fondatori dell’associazione ritenevano che il mondo delle istituzioni e delle professioni legali fosse dominato da un’ortodossa ideologia liberale, al quale l’organizzazione contrapponeva il principio dell’esistenza dello Stato per preservare la libertà, della centralità della separazione dei poteri nella Costituzione e dell’attribuzione ai giudici del compito di dichiarare quali fossero le norme, non quali dovessero essere. Il progressivo riconoscimento che la stessa associazione ha avuto nella comunità giuridica conservatrice ha fatto sì che, di fronte alla duplice vacanza dovuta alle dimissioni di Sandra O’Connor e al decesso del Chief Justice William Rehnquist nel 2005, il Presidente George W. Bush abbia nominato John Roberts (già membro dell’associazione) come nuovo Chief Justice e abbia ritirato la nomina di Harriet Miers (avvocato e membro dello staff della Casa Bianca), oltre che per le deludenti performance della stessa in sede di audizione dinanzi all’apposito comitato del Senato, anche per lo scarso gradimento dei più fra i membri della Federalist Society, scegliendo al suo posto Samuel Alito, che raccoglieva ampi consensi all’interno dell’organizzazione. La stessa influenza è stata esercitata quando il neo-eletto Presidente Trump, una volta entrato in carica, ha nominato il giudice del Sesto circuito d’appello federale Neil Gorsuch per sostituire Scalia, selezionandolo da una lista di 21 nomi redatta congiuntamente da rappresentanti della Federalist Society e della Heritage Foundation.

Il ruolo di queste organizzazioni conservatrici spiega molto delle nomine (e del metodo con cui sono state formulate) del Presidente Trump alla Corte Suprema: Gorsuch è stato accolto da molti come un nuovo Scalia, seppur sia ancora troppo presto per trarre conclusioni affrettate (è stato in carica per poco più di un term soltanto), mentre il fresco di nomina Brett Kavanaugh sembra potersi collocare alla destra del Chief Justice Roberts, ma è prematuro dire se tanto quanto lo sono Alito e (presumibilmente) Gorsuch stesso.           
Proprio in considerazione del probabile spostamento della Corte verso posizioni marcatamente conservatrici (qualcuno azzarda addirittura sconosciute dopo il cd. switch in time that saved nine[1], tali da far rivivere parte della giurisprudenza del filone Lochner[2]), appare opportuno ripercorrere le posizioni più significative assunte da Kennedy su temi particolarmente rilevanti e che ora rischiano di venire erose da una giurisprudenza maggiormente ancorata alla tradizione.  

Il primo campo che potrebbe patire il ritiro di Kennedy dalla scena è quello relativo al diritto all’interruzione della gravidanza: nel 1973 la Corte Burger aveva sancito che il divieto indiscriminato di abortire, se non per ragioni di salute della gestante, violava la Due Process Clause del XIV Emendamento in quanto ammontava a un’illegittima limitazione del diritto alla privacy tramite State action[3]; nel 1992 Kennedy si era unito a Sandra O’Connor e Souter (con il concorso di Blackmun e Stevens) nel riaffermare il diritto all’aborto, seppur riconoscendo la facoltà degli Stati di regolare l’accesso a tale trattamento medico fintanto che ciò non creasse ostacoli ingiusti (undue burden) all’esercizio del diritto[4]. Nonostante sotto un profilo formale la pronuncia configurasse una limitazione del principio sancito in Roe v. Wade, si trattava, in sostanza, di una riaffermazione del diritto in questione. La posizione di Kennedy sul tema non è stata peraltro ascrivibile con costanza a un approccio liberal, poiché egli stesso dissentì dalla decisione della Corte di dichiarare l’incostituzionalità della sanzione penale comminata a chi praticasse l’interruzione di gravidanza tramite la tecnica nota come partial birth abortion (aborto con nascita parziale, praticato negli ultimi mesi della gravidanza) nel 2000[5]: egli sostenne che lo Stato del Nebraska aveva un legittimo interesse a vietare tale pratica e che tale divieto non imponeva un undue burden all’esercizio del diritto della gestante, esistendo una pratica alternativa alla “dilatazione ed estrazione” (D&X), nota come “dilatazione ed evacuazione” (D&E). Dopo che sulla materia era intervenuto il Congresso nel 2003, vietando la pratica a livello federale (Partial-Birth Abortion Ban Act), Kennedy scrisse l’opinione di maggioranza che nel 2007 sancì la legittimità costituzionale del divieto, in coerenza con quanto già argomentato nell’opinione dissenziente di sette anni prima[6]. Tuttavia, nel 2016 Kennedy si associò nuovamente all’ala liberal della Corte, guidata nella fattispecie da Justice Breyer, nel sanzionare come undue burden al diritto delle gestanti quanto previsto da una legge dello Stato del Texas che imponeva ai medici abortisti di avere una convenzione con un ospedale entro una determinata distanza a cui poter ricorrere in caso di complicazioni legate all’interruzione della gravidanza, oltre al rispetto di stringenti standard sanitari per gli interventi in oggetto[7]. La maggioranza ha sottolineato la necessità di valutare l’esistenza in concreto di un beneficio per la salute delle gestanti e l’adeguatezza della misura all’interesse pubblico sottostante, senza che sia impedito l’effettivo esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza. In quest’ultimo term Kennedy è tornato invece a schierarsi con l’ala conservatrice sul tema, supportando la pronuncia di incostituzionalità, per violazione del I Emendamento, della legge dello Stato della California che obbligava tutte le cliniche (ivi comprese quelle anti-abortiste) che fornissero servizi a donne gestanti a informare le stesse delle possibilità di effettuare altrove l’interruzione della gravidanza[8].

Altro tema in cui il ruolo di Kennedy è stato assai rilevante è quello dei diritti della comunità LGBT: nel 1996 egli redasse l’opinione di maggioranza che pronunciò l’incostituzionalità, per la violazione della Equal Protection Clause del XIV Emendamento, di un emendamento alla Costituzione dello Stato del Colorado che proibiva a tutti gli enti statali di adottare atti che attribuissero benefici a persone omo- o bisessuali in ragione del loro orientamento sessuale[9]. Lo stesso Kennedy fu autore della pronuncia del 2003 che affermava l’incostituzionalità, per la violazione della Due Process Clause, dell’incriminazione da parte del Texas di atti sessuali consensuali in privato fra adulti dello stesso sesso[10]. Le due più rilevanti pronunce sul tema sono però fra quelle più recenti, risalenti al 2013 e al 2015: nella prima, Kennedy scrisse per una maggioranza liberal sancendo l’incostituzionalità del Defense of Marriage Act federale per la violazione della Equal Protection Clause del V Emendamento, derivante dall’interferenza della Federazione nella definizione di matrimonio dei singoli Stati[11]; nella seconda, la stessa maggioranza di due anni prima affermò l’obbligo per tutti gli Stati della Federazione, derivante dal XIV Emendamento, di concedere una licenza matrimoniale a persone dello stesso sesso che la richiedessero e di riconoscere un matrimonio fra persone dello stesso sesso contratto in un altro Stato della Federazione[12]. La giurisprudenza sul tema è più recente di quella sull’interruzione di gravidanza, motivo per cui anche l’innesto di un giudice maggiormente conservatore al posto di Kennedy non necessariamente porterà a un radicale ripensamento sul tema (il Chief Justice ha votato nei due casi recenti con l’ala conservatrice, ma potrebbe porsi questioni di opportunità della violazione del principio dello stare decisis, soprattutto con riferimento a casi così vicini nel tempo). Tuttavia, un apparente raffreddamento sul tema si è già manifestato, data la decisione della Corte in quest’ultimo term, sempre redatta da Kennedy, che ha ritenuto che la Commissione per i diritti civili del Colorado non abbia assunto un atteggiamento neutrale in giudizio nel caso di un pasticcere che aveva rifiutato di preparare una torta nuziale per il matrimonio di una coppia omosessuale (pur essendo disponibile a vendere alla stessa prodotti di altro genere)[13]

Un altro campo in cui la sostituzione di Kennedy con un giudice più conservatore si potrebbe percepire è quello relativo alla sfera di applicabilità della pena di morte, su cui il giudice uscente ha tenuto un atteggiamento moderatamente scettico. Nel 2005 egli scrisse per una maggioranza di area liberal una pronuncia atta a proibire l’irrogazione della pena di morte nei confronti di soggetti che avessero commesso un crimine prima del raggiungimento della maggiore età (compimento dei 18 anni)[14]. Nel 2008, di nuovo, egli guidò una maggioranza progressista nell’affermare l’incostituzionalità di una legge dello Stato della Louisiana che puniva con la pena capitale lo stupro di minori sotto i 12 anni, sancendo che il divieto di “cruel and unusual punishment” di cui all’VIII Emendamento proibisce l’irrogazione della pena di morte per reati che non cagionino la morte o non siano diretti contro l’integrità dello Stato[15]. La stessa maggioranza, ancora una volta guidata da Kennedy, affermò nel 2014 che l’utilizzo di una soglia numerica rigida di quoziente intellettivo per determinare la disabilità psichica di una persona ai fini dell’applicabilità della pena di morte (vietata a livello federale per chi sia intellettualmente menomato) è contrario alla Costituzione[16].

Anche nell'ambito della tutela dell’ambiente e del territorio il ruolo di Kennedy non è stato indifferente. Nel 2006 egli si trovò a redigere un’opinione concorrente alla maggioranza conservatrice su un caso riguardante la sfera di applicabilità del Clean Water Act, il quale sottopone a particolare regolazione e protezione le acque appartenenti al territorio USA[17]. Tuttavia, il significato della disposizione è dibattuto, tanto che l’ala conservatrice riteneva che tali fossero soltanto le acque che avessero sede permanente e un corso continuo (oceani, fiumi, laghi), mentre l’ala liberal avrebbe incluso anche le cd. zone umide adiacenti ai corsi d’acqua tributari di acque tradizionalmente navigabili. In questa circostanza, Kennedy si pose a metà fra i due schieramenti, affermando la possibilità di includere nelle aree protette dall’atto anche le zone umide e le altre acque minori, a patto che esistesse un nesso significativo con acque navigabili in concreto o che potessero essere rese tali. L’opinione di Kennedy ha poi ispirato le policies in materia dell’Environmental Protection Agency (EPA) durante l’amministrazione Obama. La stessa agenzia è stata poi parte in causa in un’altra rilevante decisione in tema ambientale, ove Kennedy si è schierato con i liberals nuovamente. Nel caso in questione, la Corte affermò la competenza dell’EPA a regolare le emissioni di gas serra alla luce del Clean Air Act[18]. La decisione ha pertanto concesso al Presidente Obama (rectius, alla sua amministrazione per il tramite dell’agenzia) di dettare una serie di regole e indicare obiettivi di riduzione delle emissioni derivanti dal consumo di combustibili fossili senza la necessità di deliberazioni del Congresso sulla materia. Su questo tema la posizione del neo-nominato rischia di essere ben più rigida e maggiormente favorevole alla libertà di iniziativa economica delle imprese, oltre che scettica nei confronti del principio dell’ossequio del potere giudiziario all’interpretazione di disposizioni di legge da parte di agenzie governative (cd. Chevron deference). 

La posizione di Kennedy sul tema della dinamica dei processi elettorali è stata invece composita, tale da potersi dividere in due componenti. Da un lato, egli si è schierato con l’ala conservatrice quando in gioco vi sia stata la legislazione elettorale di contorno, come testimoniato dalla celebre decisione del 2010 in tema di limiti al finanziamento alle campagne elettorali: la pronuncia rovesciò parte della precedente giurisprudenza sul tema, eliminando i limiti alla spesa per il finanziamento di candidati a cariche elettive precedentemente gravanti su persone giuridiche di qualsiasi tipo, in base a un’interpretazione della libertà di manifestazione del pensiero del I Emendamento che include, oltre alle persone fisiche, anche enti associativi di varia natura[19]. Peraltro, la decisione non stupisce quando si consideri che una delle cifre distintive del trentennio di Kennedy alla Corte Suprema è stata proprio la strenua difesa delle prerogative sancite nel I Emendamento. Analogamente, nel 2013 Kennedy supportò l’opinione di maggioranza del Chief Justice che ha reso inutilizzabile (salva revisione della coverage formula) il meccanismo di preclearance previsto dal Voting Rights Act[20].        

Dall’altro lato, egli si è dimostrato più aperto sul tema dell’alterazione dei confini dei collegi elettorali a fini strumentali di beneficio per una determinata parte politica (cd. political o partisan gerrymandering): nel 2004, pur concorrendo all’opinione della maggioranza conservatrice che respingeva la richiesta di dichiarare incostituzionale tale pratica, Kennedy scrisse che l’inesistenza in quel momento di un criterio per determinare o misurare il grado di “partigianeria” di una determinata mappa dei collegi elettorali non significava che non se ne potesse trovare uno in futuro[21]. Tale apertura di Kennedy ha alimentato le speranze liberal che la dichiarazione di incostituzionalità delle forme più evidenti di partisan gerrymandering fosse prossima. Nel term appena conclusosi dinanzi alla Corte pendevano più ricorsi sul tema, fra cui un caso che coinvolgeva lo Stato del Wisconsin e ove si proponeva un sistema di calcolo del cd. efficiency gap fra alternativi piani di ridisegno dei collegi, redatti da diversi soggetti. Kennedy durante l’hearing è sembrato suggerire che esempi di partisan gerrymandering tanto sfacciati potrebbero violare il I Emendamento (l’argomentazione della parte in causa sosteneva invece una violazione dell’Equal Protection Clause); egli si è infine associato alla maggioranza conservatrice nel risolvere momentaneamente la questione sul piano dello standing dei ricorrenti, senza dunque scendere al merito della questione[22]. Giova indicare come un caso che la stessa Corte aveva rimandato alla corte federale inferiore alla luce della pronuncia nel caso di cui sopra è stato deciso a fine agosto dalla stessa nuovamente in favore dei ricorrenti[23], sancendo l’illegittimità della pratica e obbligando il legislatore statale dello Stato del North Carolina a un tardivo intervento di ridisegno delle mappe dei collegi in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo mese di novembre. Vi sono concrete possibilità che la Corte Suprema sia presto chiamata a ripronunciarsi sul punto e la differente composizione del collegio potrebbe rivelarsi decisiva in questa circostanza.      

Invero, un altro caso piuttosto celebre in cui Kennedy non solo si schierò con l’ala liberal, ma scrisse anche l’opinione di maggioranza, fu quello relativo alla considerazione della razza da parte di un’università texana come fattore all’interno di un calcolo olistico per la determinazione dei candidati migliori fra quelli non ammessi all’ateneo sulla base di un primo criterio indifferente alla razza: in questo caso, egli riconobbe la legittimità della affirmative action e l’inesistenza di una violazione della Equal Protection Clause[24]. Tuttavia, la sporadicità di questa posizione impedisce di individuare quest’area fra quelle che potrebbero maggiormente risentire dell’avvicendamento fra Kennedy e una figura più stabilmente conservatrice.

 

[1] West Coast Hotel Co. v. Parrish, 300 U.S. 379 (1937).

[2] Lochner v. New York, 198 U.S. 45 (1905).

[3] Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973).

[4] Planned Parenthood of Southeastern Pa. v. Casey, 505 U.S. 833 (1992).

[5] Stenberg v. Carhart, 530 U.S. 914 (2000).

[6] Gonzales v. Carhart, 550 U.S. 124 (2007).

[7] Whole Woman’s Health v. Hellerstedt, 579 U.S. ___ (2016).

[8] NIFLA v. Becerra, 585 U.S. ___ (2018).

[9] Romer v. Evans, 517 U.S. 620 (1996).

[10] Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003).

[11] United States v. Windsor, 570 U.S. __ (2013).

[12] Obergefell v. Hodges, 576 U.S. __ (2015).

[13] Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission, 584 U.S. ___ (2018).

[14] Roper v. Simmons, 543 U.S. 551 (2005).

[15] Kennedy v. Louisiana, 554 U.S. 407 (2008).

[16] Hall v. Florida, 572 U.S. ___ (2014).

[17] Rapanos v. United States, 547 U.S. 715 (2006).

[18] Massachusetts v. EPA, 549 U.S. 497 (2007).

[19] Citizens United v. Federal Election Comm'n, 558 U.S. 310 (2010).

[20] Shelby County v. Holder, 570 U.S. 2 (2013).

[21] Vieth v. Jubelirer, 541 U.S. 267 (2004).

[22] Gill v. Whitford, 585 U.S. ___ (2018).

[23] Common Cause v. Rucho, Case 1:16-cv-01026-WO-JEP, US District Court for the Middle District of North Carolina.

[24] Fisher v. University of Tex. at Austin, 579 U.S. ___ (2016).